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La scelta del n.2 al mondo di non partecipare alla fase finale della Coppa Davis risponde a logiche tecniche inoppugnabili. Ma a volte, i colori azzurri contano di più. Anche in uno sport individuale
Siamo un Paese relativamente giovane, che si chiama Italia da poco più di un secolo e mezzo. Divisi da sempre da abitudini e campanili, stiamo costruendo un’identità che poggia su alcuni pilastri. Tra questi certamente c’è lo sport, che nella versione contemporanea è poco più giovane (la prima Olimpiade moderna di Atene è del 1896, come la nostra Gazzetta). La maglia azzurra e l’inno di Mameli (lo sport ne ha fatto la colonna sonora italiana molto prima che diventasse per legge l’inno ufficiale) sono i più elementari segni condivisi di appartenenza. L’abbiamo presa larga per far capire quanto sia deludente, per noi e per milioni di tifosi la scelta di Jannik Sinner di rinunciare alla convocazione per le finali di Davis di Bologna. Possibile che non avverta il valore e il fascino che ha per noi vederlo con la maglia che ci unisce?