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Dopo dieci anni il belga dà l'addio al City. Il suo tecnico stravedeva per lui. E di lui disse: "Messi è seduto da solo su un tavolo. Nessun altro è autorizzato. Ma al tavolo accanto, Kevin può sedersi lì"
Giorgio Burreddu
6 aprile 2025 (modifica alle 11:20) - MILANO
Kevin De Bruyne non è mai stato per la diplomazia. Tre anni fa, in un’intervista al Guardian, a casa sua, circondato dalla moglie e figli (lo pretese lui), gli chiesero se pensava di guadagnare troppo (20 milioni di sterline a stagione). Kevin ci pensò su un momento. Poi diede una di quelle risposte che fanno tanto arrabbiare i qualunquisti. “Paragono il mio stipendio a quello di un cantante. Sì, sono un sacco di soldi, ma sono troppi? Non è una risposta popolare, ma no”. In questi dieci anni al Manchester City De Bruyne è stato tutto. Genio, sregolatezza, intuito, bellezza. Un luccichio in un calcio trasognato. E nell’elenco bisogna ficcarci dentro pure i gol. Che non fanno curriculum, questo no: De Bruyne non ne ha bisogno. Servono a dare la misura di quel che uno dei centrocampisti più forti dell’ultima generazione è stato per il calcio mondiale. L’annuncio del suo addio a fine stagione a parametro zero è come uno di quei giorni in cui arriva il vento. Non puoi evitarlo, meglio accoglierlo. Con tanto di conseguenze.