Zigoni: "Alcol, donne e una pistola, sparavo ai lampioni per noia. Questo calcio di robot mi annoia"

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Il George Best italiano si racconta: "Oggi le partite sono tutte uguali, gli allenatori vogliono soldatini, non c'è più voglia di stupire. E quando Allodi voleva farmi tagliare i capelli..."

Andrea Schianchi

Giornalista

26 agosto - 01:13 - MILANO

"Dài, Zigo, vieni con noi a Udine!". "No, ragazzi, il calcio di oggi non mi entusiasma più. Andate voi e gridate 'Forza Verona' anche per me". Seguono saluti, pacche sulle spalle e strette di mano. Il gruppo di supporter dell’Hellas, in viaggio verso Udine per seguire la prima di campionato della squadra di Zanetti, ha fatto una deviazione sul percorso. Che si è trasformata, come spesso accade, in un pellegrinaggio: a Oderzo, provincia di Treviso, paese di nascita e di vita di Gianfranco Zigoni, detto dio Zigo, il George Best italiano che, negli Anni 60 e 70, ha fatto impazzire difensori (avversari) e allenatori (suoi). 

Zigoni, il pubblico s’inchina davanti a lei come se fosse un guru. Contento? 

"Ormai sono una specie di monumento, vengono qui in gita, ammirano il murale che due artisti che mi hanno dedicato, parlano, mi chiedono dei vecchi tempi, che io definisco 'bei tempi', ci facciamo un bicchierino e poi arrivederci. Essere ancora ricordato a ottant’anni mi fa piacere, non posso nasconderlo. Questione di vanità? Forse, ci devo riflettere". 

Che cos’avevano i “bei tempi” rispetto al presente? 

"Intanto ero più giovane, e questo è importante. E poi erano tempi più umani, e anche il calcio era più umano. Adesso i giocatori sono tutti dei robot. La tecnologia ci ha fregato, questa è la verità. Dov’è finita la fantasia? Dove sono finiti i dribbling? Dov’è finita la voglia di stupire?". 

Il calcio di oggi è più piatto, più monotono. 

"Passaggi laterali, passaggi indietro, mai una volta che veda uno puntare l’avversario e superarlo con una finta, con un’invenzione. Io, in questo calcio, non avrei potuto giocare. Figuratevi, un irregolare come me, una testa calda... Adesso gli allenatori vogliono dei soldatini ai loro ordini, e basta. Tu stai lì, tu dai il pallone a quello, tu non ti muovere. A volte mi chiedo: si divertono, oggi, i calciatori? Non lo so. Io, invece, sì che mi divertivo. E divertivo la gente". 

Come quando segnò un gol con un tiro di sinistro all’incrocio dei pali, in un Verona-Vicenza, e poi s’infilò nel tunnel degli spogliatoi. Come dire: fine dello spettacolo. 

"Ero fatto così, e sono ancora fatto così perché il carattere non cambia. In quell’occasione dribblai quattro avversari e sparai un missile nel sette. Ditemi voi: che cosa avrei potuto fare di più? E allora sono andato a fare la doccia prima degli altri, così ho trovato l’acqua calda". 

Si ricorda della volta che andò in panchina con la pelliccia e il cappello da cowboy? 

"Colpa dell’allenatore Ferruccio Valcareggi. La domenica precedente ero squalificato, cosa che mi capitava spesso, e la squadra aveva vinto. Così Valcareggi viene da me e mi fa: 'Zigo, squadra che vince non si cambia. Oggi stai fuori'. E io: 'Come ti permetti di tenere fuori il più forte giocatore del mondo? Vedrai che cosa combino...'. Faceva freddo, andai in panchina con la mia pelliccia di lupo e il cappello in testa, e in tasca avevo un pacchetto di sigarette". 

Una vita spericolata, la sua. 

"Più che spericolata, sempre per dirla con Vasco Rossi direi che è stata una vita esagerata. Non mi sono fatto mancare nulla. Sigarette, alcol, donne, belle macchine, successo. Una volta, ero alla Juve, arriva il dirigente Italo Allodi e mi fa: 'Se ti tagli i capelli, ti dò centomila lire'. La mia risposta: 'Io non sono in vendita. E queste sono duecentomila lire, le usi per andare a tagliarsi quello che ha di più caro'. Non sopportavo il potere, gli ordini, le regole. Oggi quale giocatore risponderebbe così a un dirigente?". 

Nessuno, ma è un altro mondo. 

"Già, oggi non c’è la fantasia di un tempo. Negli Anni 60 e 70 la fantasia era ovunque, era nei gesti ed era anche nelle parole. Ora, invece, si vive come dentro un computer, tutto è omologato". 

Il calcio non la distrae? 

"Le partite sono tutte uguali. È per questo che mi annoiano. Io, che fin da bambino tifo per l’Inter, non ho neanche visto la finale della Coppa dei Campioni contro il Paris Saint Germain. Sapevo che non mi sarei emozionato. Ho letto che una grande trovata dell’allenatore del Psg è stata quella di far buttare il pallone in fallo laterale dopo il calcio d’inizio per cominciare subito il pressing offensivo. E quella sarebbe una grande idea? Ma stiamo scherzando? No, questo calcio non fa più per me, meglio andare a veder giocare i ragazzini delle giovanili, qui a Oderzo, anche se pure loro sono vittime degli allenatori che pretendono di ingabbiarli in schemi e moduli. Ma lo volete capire che il calcio è bello perché esalta la fantasia?". 

Crede di aver sprecato il suo talento? 

"Direi di sì. Santamaria, il difensore del Real Madrid, mi marcò e non gli feci vedere il pallone. Disse: 'Questo hijo de puta è come Pelé'. E invece questo hijo de puta ha giocato soltanto una partita in Nazionale". 

Testa troppo calda. 

"Giravo con una pistola in tasca, una Colt 45. Alla Roma, durante i ritiri a Grottaferrata, mi annoiavo e sparavo ai lampioni. Amavo Che Guevara e lo dichiaravo apertamente: immaginate che cosa pensavano di me i borghesucci. Dei soldi non mi è mai importato nulla. Quelli che ho guadagnato li ho spesi tutti. Insomma, ero un’anomalia del calcio. Una virgola fuori posto. E tale sono rimasto".

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