World Solar Challenge: sfida di 3mila km nel deserto australiano fra auto a energia solare

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Dal carbonio alle gomme ultraleggere: nel deserto australiano la gara che unisce ingegneria estrema e innovazione. E non manca il talento italiano

Giacomo Ruben Martini

27 agosto - 18:59 - DARWIN (AUSTRALIA)

Chi ha detto che servono grandi batterie per percorrere lunghe distanze? In Australia, ogni due anni, si corre una gara che ribalta le regole: 3mila chilometri da Darwin ad Adelaide, nel cuore di uno dei deserti più ostili del pianeta, utilizzando soltanto l'energia del sole. Si chiama Bridgestone World Solar Challenge e riunisce le menti più brillanti di università, aziende e start-up di tutto il mondo. E, indirettamente, anche case automobilistiche che sostengono finanziariamente alcune delle squadre. L'obiettivo non è dimostrare che un'auto solare possa sostituire una vettura di serie, ma spingere al limite la ricerca e sperimentare nuove soluzioni che potrebbero definire il futuro della mobilità elettrica. Aerodinamica, materiali, software, gestione energetica, gomme: ogni componente diventa un laboratorio di innovazione a cielo aperto.

il regolamento

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La competizione è divisa in due categorie. La Challenger Class è la più estrema: qui le auto sono ridotte all'essenziale, piccolissime e leggere, sono progettate per ottenere l'efficienza assoluta, con pannelli fotovoltaici limitati a sei metri quadrati che alimentano una batteria da 3 kWh. Sembrano gocce d'acqua, disegnate per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica. La Cruiser Class, invece, rappresenta un ponte verso la realtà: vetture più grandi, con almeno due posti e maggiore (anche se marginale) attenzione al design, al comfort e alla praticità. Ma soprattutto, le Cruiser possono fare affidamento a una batteria più grande, da 15 kWh, che si ricarica durante la notte. Qui non basta essere veloci, serve anche mostrare soluzioni che un domani potrebbero essere applicabili su auto di serie. In entrambi i casi, i team devono affrontare una lunga serie di valutazioni tecniche da parte dei giudici per essere ammessi. Dopodiché, li aspetta un percorso lungo e difficilissimo, passando per checkpoint obbligatori e accampandosi a bordo strada al calar del sole. Il caldo estremo, il vento laterale e l'autonomia limitata trasformano la gara in una sfida di pura resistenza.

l'obiettivo non è il solare

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Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, lo scopo non è provare che i pannelli solari possano sostituire le batterie delle auto commerciali. Le auto moderne sono troppo pesanti e le esigenze di autonomia troppo elevate per affidarsi esclusivamente al sole: servirebbero pannelli di superfici di gran lunga superiori. La vera missione della World Solar Challenge è un'altra: sperimentare tecnologie avanzate e trasferirle, almeno in parte, nei veicoli del futuro. Si studiano materiali ultraleggeri e compositi innovativi, software di gestione dell’energia sempre più raffinati, soluzioni aerodinamiche d'avanguardia e, soprattutto, pneumatici. Alcuni giovani ingegneri coinvolti spiegano che circa il 30% della resistenza aerodinamica complessiva di un’auto è generata proprio dalle ruote. È per questo che Bridgestone, title sponsor della gara, utilizza l'evento come una piattaforma di sviluppo avanzata per la tecnologia Enliten, creando pneumatici ad hoc che pesano appena 1,4 kg e riducono al minimo la resistenza al rotolamento. Una soluzione così estrema ha però una durata limitata, circa 800 chilometri, il che obbliga le squadre a pianificare più cambi gomme nel corso della gara e integrare questa variabile nella strategia generale.

occhio alla sostenibilità

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Gli pneumatici esausti, a fine gara, vengono destinati al riciclo. Tutti, tranne alcuni selezionati di cui Bridgestone si serve per raccogliere dati utili allo sviluppo delle gomme stradali. Le tecnologie studiate in questa occasione saranno in futuro incorporate nella gamma di pneumatici stradali Enliten, su cui Bridgestone non cura solo le prestazioni, ma anche la sostenibilità. Sullo pneumatico studiato per la solar race, nello specifico, l'azienda giapponese ha introdotto per la prima volta materiali riciclati come carbon black rigenerato e acciaio recuperato, sviluppati attraverso processi avanzati di pirolisi. E per la logistica della spedizione in Australia, si è affidata a carburanti marittimi sostenibili, riducendo le emissioni di CO₂ fino all'85%.

talenti italiani

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Quest'anno tra i trentaquattro team partecipanti ci sono anche due realtà italiane. Onda Solare dell'Università di Bologna compete con la spettacolare Emilia 5.9, una solar car della categoria Cruiser. Rossa, come impone la tradizione delle corse italiane, la vettura è interamente realizzata in fibra di carbonio, comprese le sospensioni brevettate, uniche al mondo. Estremamente raffinate nella loro semplicità, quelle posteriori permettono di essere regolate rapidamente attraverso un cuneo, anch’esso in carbonio, mentre le anteriori presentano un look che richiama il mondo della supercar. C'è poi Archimede, una start-up di Siracusa specializzata in satelliti, che ha scelto questa gara per mostrare la propria tecnologia di sos satellitare, costruendo in un solo anno e con un budget molto ridotto la propria vettura, servendosi anche del supporto di Dallara per lo sviluppo aerodinamico. Un’impresa notevole, nonostante la gara si sia interrotta prematuramente per problemi tecnici. A legare l'Italia alla World Solar Challenge c'è anche la storia dell'ingegnere abruzzese Giuseppe Coia, che quest'anno collabora come advisor con l'Università di Tokai. Coia partecipa alla competizione dal 1999, quando con un gruppo di amici realizzò la sua prima auto solare, costruendo componenti in carbonio in maniera artigianale e utilizzando persino il compressore di un frigorifero per creare il vuoto nella fase di stampaggio. Oggi, con la stessa passione di ventisei anni fa, mette la sua esperienza al servizio dei team di punta, formando una nuova generazione di ingegneri.

il futuro dell'automotive

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Cos'è dunque la World Solar Challenge? Ancor più che una gara, è un incubatore di talenti e un acceleratore di innovazione. Studenti e start-up si confrontano su progetti reali e imparano a gestire la pressione, a collaborare e a sviluppare soluzioni sostenibili con budget limitati e tempi ristretti. Le grandi aziende lo sanno bene e per questo investono in questo evento, fornendo materiali, know-how e supporto tecnico. Molte delle tecnologie che oggi vengono testate nel deserto australiano potrebbero finire sulle nostre strade nei prossimi anni. E i giovani partecipanti, in futuro potrebbero progettare le auto di tutti i giorni.

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