
Nelle nostre città aumentano le aggressioni tra conducenti e gli altri utenti della strada. Ne abbiamo cercato le ragioni intervistando la più nota ricercatrice in Psicologia del Traffico
Maurizio Bertera
6 agosto - 13:44 - MILANO
Se avete la sensazione che sulla strada ci sia più tensione di un tempo, avete ragione. Lo dicono i numeri rilevati da più osservatori, analisti ed enti che si occupano di sicurezza. Colpisce un recente sondaggio in ambito europeo (effettuato in 11 Paesi diversi): ha rilevato che l’88% degli automobilisti italiani (rispetto all’83% di quelli europei) teme il comportamento aggressivo degli altri conducenti. Allo stesso modo però il 50% ammette anche di insultare gli altri utenti della strada, mentre il 44% sfrutta il clacson quando qualcuno li irrita. È un fenomeno che si nota quotidianamente, soprattutto nelle nostre città dove tra pedoni, motociclisti, persone sul monopattino e guidatori capitano sovente discussioni e litigi. E talvolta si arriva alla violenza con feriti e persino morti. Sul tema, abbiamo voluto sentire il parere della maggiore specialista in Italia: Federica Biassoni, responsabile dell’Unità di ricerca in Psicologia del Traffico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Premessa: la psicologia del traffico è una branca moderna che studia il comportamento degli utenti della strada e i processi sottostanti a questo processo, così come la relazione tra comportamento e incidenti stradali.

Dottoressa Biassoni, cosa ne pensa del sondaggio in ambito europeo?
"Il dato di confronto tra italiani e guidatori di altri Paesi è interessante e inquietante al tempo stesso. I comportamenti descritti (insultare gli altri utenti, usare il clacson con intento di insulto o minaccia, tallonare) sono da manuale della 'driving anger', esattamente come descritti nelle ultime ricerche sulla collera alla guida. Insieme con i gestacci, i sorpassi azzardati o al contrario la guida lenta al fine di ostruire la via agli altri".
Al netto di fatti di cronaca, non trova che faccia sorridere il concetto di ‘padrone della strada’ con quello che ne deriva quando soprattutto nei centri urbani c’è sempre meno strada per le auto?
"In realtà ci sono ricerche molto interessanti che hanno misurato in diverse città europee la quota di suolo cittadino “dedicata” alle auto a confronto di quella dedicata agli altri utenti della strada, dimostrando come molti centri urbani (tra cui senz’altro molti italiani) siano pensati per le auto: la sproporzione tra lo spazio dedicato alla circolazione e al parcheggio dei veicoli e lo spazio dedicato agli altri utenti della strada è schiacciante a favore delle auto. Per tale ragione, le Amministrazioni che si sono rese conto di questa situazione, hanno iniziato a prendere provvedimenti finalizzati a invertire la rotta, sebbene la strada sia lunga e irta di ostacoli ma il futuro aiuterà in questo senso".
Perché lo pensa?
"Altri dati dimostrano che nei grandi centri urbani le nuove generazioni sono sempre meno interessate ad ottenere la patente appena compiuti i 18 anni e ancora meno interessate a possedere un’auto. Si sta passando chiaramente dall’idea della vettura come bene a un’idea di vettura come servizio. In quest’ottica, mi pare che il concetto di 'padrone della strada' rischi di diventare quantomeno vetusto. Forse è necessario iniziare a educare i cittadini all’idea che la strada non ha padroni, anzi è un luogo di convivenza necessaria ma che può anche diventare virtuosa".
I diverbi tra utenti deboli e guidatori sono in aumento, questo di riflesso ha fatto diminuire quelli tra soli automobilisti?
"Non direi. I diverbi tra utenti 'deboli' e automobilisti traggono origine dal fatto che il contesto stradale è sempre più affollato e complesso. Di conseguenza, difficile pensare che ci sia semplicemente un 'trasferimento di aggressività'. Più verosimile che si tratti di una ulteriore diffusione dell’aggressività, che dai diverbi tra automobilisti si allarga 'creativamente' ai diverbi con ogni altro utente della strada".
Motociclisti, pedoni, persone in monopattino, ciclisti: generalizzando, chi è più odiato dagli automobilisti?
"Dipende dal contesto e dalla personalità del guidatore. Certo al momento attuale pare che quanti viaggiano in monopattino si siano guadagnati un posto d’onore in questa poco onorevole classifica. Perché sono tanti, perché costituiscono ancora una relativa novità, e come sempre siamo mediamente restii ad accettare, conoscere e integrare il nuovo".
Approfondiamo lo specifico tema.
"Le persone che utilizzano un monopattino si configurano come un mix peculiare, che unisce alcune caratteristiche dei motociclisti e dei ciclisti con quelle dei pedoni. Perché da un lato possono spostarsi ad una velocità notevole, occupano la carreggiata e meno il marciapiedi. E dall'altro occupano uno spazio limitato, si destreggiano tra carreggiata e marciapiedi, entrano in zone pedonali. Il loro comportamento è percepito come rischioso in quanto particolarmente imprevedibile e irresponsabile, come se il loro essere 'creature ibride' li rendesse esenti da ogni codice specifico, sia quello dei pedoni, sia quello di chi si muove su due ruote, o ancora di più su quattro".
È riscontrabile un comportamento diverso tra chi guida una city car o un Suv?
"Alcune ricerche dicono così. Sottolineando che se è vero che il veicolo è vissuto un po’ come un prolungamento del corpo, un’auto grande e 'forte' può suggerire un senso di invulnerabilità e di controllo ambientale. Detto questo, penso che ancora una volta entri in gioco l’individualità e la personalità di chi tiene il volante".
Ma la collera da strada è diversa da quella che si scatena in uno stadio, per esempio?
"È un genere del tutto specifico di collera. Che nasce da antecedenti specifici: il traffico e lo stress che genera o il fatto che altri utenti della strada possono essere vissuti come ostacoli sul percorso verso la propria meta con la frustrazione che ne deriva. Il tutto miscelato con la percezione che l’abitacolo ci protegga e ci renda anonimi. Inoltre, è tipicamente un genere di rabbia che si vive in solitudine e che viene espressa con modalità molto specifiche, legate - di nuovo - al fatto di trovarsi dentro un’auto, per cui l’interazione con l’altro è mediata dalla vettura stessa: da qui il suonare il clacson anziché urlare, tallonare anziché minacciare fisicamente e via dicendo".
Comunque, appare evidente che si viva nell’impossibilità di adattarsi rapidamente alle novità che si trovano in strada.
"Manca l’expertise, cioè nella mente dei guidatori non si è sono ancora formata quelle che in psicologia chiamiamo 'rappresentazioni della situazione', che consentono elaborazioni raffinatissime sulle caratteristiche dell’ambiente e su come muoversi in esso, anche a partire dalla comprensione delle intenzioni altrui, quindi tenendo conto del comportamento degli altri 'abitanti' della strada. Queste capacità sono normali per un essere umano. mentre per l'attesa guida autonoma è ancora una montagna da scalare".