Bipolarità tra teatro e cinema, la
responsabilità come fondamento dell'arte, le intolleranze e gli
'abbagli' di oggi ovvero quelle cose piene di luce che ci
ostiniamo a non vedere. Toni Servillo, all'anagrafe Marco
Antonio Servillo, 66 anni, di Afragola, attore e regista
teatrale italiano pluripremiato, non delude mai e si racconta
all'Ischia Film Festival di Michelangelo Messina scandendo
parole e concetti con quella misurata sicurezza di chi dice cose
che conosce bene e non ama improvvisare.
Intanto l'arte come responsabilità, in quanto "è il riflesso
di questo mestiere bellissimo soprattutto perché prevede la
presenza del pubblico. Una poesia, un quadro possono esistere
anche senza pubblico, ma cinema e teatro no, senza questa
interazione sarebbero impossibili. Pirandello con grande
consapevolezza - dice ancora Servillo - riteneva che il pubblico
facesse così parte del meccanismo drammaturgico da definirlo 'la
visione di chi assiste'. Anche Shakespeare pensava che le
reazioni del pubblico fossero un dato drammaturgico che veniva
considerato in una nuova versione della stessa opera".
C'è bipolarità nel frequentare da anni cinema e teatro?
"Nasco con il teatro e ho fatto il primo film a quarant'anni nel
1992: 'Morte di un matematico napoletano' di Mario Martone. Da
allora in poi c'è stata la frequentazione dei due linguaggi che
si aiutano a vicenda, anche per capire certe complessità della
vita. Quindi nessuna bipolarità, ma la felicità di potersi
muovere tra due lingue, nutrendo l'una e l'altra".
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