Il Psg e quel calcio d'inizio stile rugby che aveva già fatto capire tutto sulla finale

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Pronti, via e la squadra di Luis Enrique butta avanti ha subito fatto capire agli avversari che è scesa in campo per vincere. Quella rimessa può sovvertire le regole del calcio

Fabio Licari

Giornalista

1 giugno 2025 (modifica alle 14:53) - MILANO

Non era un errore ma una dichiarazione d’intenti, un manifesto programmatico, un guanto di sfida lanciato subito al rivale, senza neanche il tempo di stringersi la mano davanti all’arbitro. Una violazione delle regole d’ingaggio con il quale il calcio dovrà confrontarsi nell’immediato futuro, perché Psg-Inter potrebbe essere una porta spalancata sul nuovo. Pronti-via e il Psg lancia la palla fuori, lontanissima, a sinistra, in fallo laterale, con tutti che accorrono verso il punto della rimessa. Potrebbe sembrare un errore tecnico, è una scelta precisa e minacciosa: comincia il pressing furioso, la partita l’abbiamo impostata così, vediamo se trovate contromosse.

MA QUALE RUGBY

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Se fosse rugby, tutto logico e normale. Una touche: serve per guadagnare metri in uno sport in cui l’avanzata è fondamentale per conquistare la meta. Nel calcio il gol si può segnare da centocinque metri, nel rugby, il suo antenato, no. Colpisce magari la sfacciataggine dei parigini, il non volersi nascondere neanche per qualche minuto, “di studio” si diceva, ma anche questo fa parte della strategia. L’Inter può andare in confusione, questo Luis Enrique lo ha capito bene: aggiungendo un pressing furibondo alla sconvolgente rotazione degli attaccanti e ai movimenti poco prevedibili dei mediani, è venuto a Simone Inzaghi un mal di testa che nessuna pastiglia è riuscita a curare. Sono gli stessi volti degli interpreti che non tradiscono: Dumfries ha gli occhi stupiti, non immagina di dover impostare lui il gioco, non sa a chi passare palla anche perché l’Inter fatica a schierarsi.

MODE VELOCI

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E questo probabilmente è un altro dei punti del piano di Luis Enrique, in un calcio che vive di idee alla velocità della luce. Sacchi aveva creato un sistema di zona, pressing e squadra corta che ha fatto scuola per anni, la prima rivoluzione post-Michels, oggi il rischio è che una tendenza sia superata dopo un anno: è la globalizzazione delle idee. Luis Enrique ha sicuramente studiato Klopp e il suo tentativo di sfruttare le rimesse laterali come nel basket dove, grazie a un gioco di finte e rotazioni, si posso creare situazioni pericolose dal nulla. Klopp al Liverpool si era affidato a un esperto danese e aveva moltiplicato gol e occasioni da questa situazione di gioco tradizionalmente meno rischiosa per chi difende. Ma il primo obiettivo non era il corridoio verso il gol, quanto obbligare l’Inter ad abbassarsi sventuratamente. Da quella linea così vicina a Sommer i nerazzurri non sono più riusciti ad alzarsi. Mai.

TUTTE LE RAGIONI

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Il motivo? Tanti. Sicuramente una condizione fisica inferiore. Le due partite epiche contro il Barcellona avevano illuso che la mente in trip allucinogeno potesse surrogare il calo agonistico inevitabile a fine stagione. L’Inter sembrava alla pari dei francesi, anche se era chiaro che il loro gioco sarebbe stato meno favorevole di quello dei catalani. Il Psg ha gestito meglio la stagione perché la Ligue 1 non è stata “meno allenante”, ma è stata l’allenamento perfetto per la Champions dove, dagli ottavi, è stato un crescendo spaventoso. Anche un po’ fortunato: ai playoff i campioni di Francia non hanno trovato medie buone (ma superabili) come Psv, Feyenoord e Bruges, bensì il Brest che aveva ormai esaurito la sua dose di sorpresa. Un turno facile di campionato. Il Psg era più fresco.

SENZA CALHA

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Non basta però questo a spiegare l’Inter rannicchiata su Sommer. Fondamentale è stato l’atteggiamento del Psg, aggressivo fino all’ossessione, e la mancanza per i nerazzurri di un play al quale offrire lo scarico. Per essere brutali: se al posto di Calhanoglu, trasparente e flebile, ci fosse stato Vitinha, le uscite dalla pressione sarebbero state diverse. L’Inter non aveva soluzione e infatti la ripartenza è finita spesso in fallo laterale – questo per errori, non certo per scelta – dopo i rinvii affannosi di Sommer.

DEMBÉLÉ SU SOMMER

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Reduce dai miracoli con il Barça, il portiere svizzero non dimenticherà la notte di Monaco e non soltanto per i cinque gol. No: non immaginava di dover subire la pressione spietata di Dembelé, il finto centravanti che sembrava Nainggolan o Perrotta in fase di non possesso, poi andava a fare il regista offensivo sulla trequarti, e infine si muoveva a tutto campo, per aprire spazi davanti al malcapitato Acerbi e far inserire in compagni tra le linee (Doué) e con tagli prepotenti (Kvara). Sommer però ha sbagliato anche lui: vero che Dembelé lo aggrediva con gli occhi assatanati, ma lui ci metteva sempre due secondi in più per rilanciare, perdendo così la possibilità di sorprendere o di colpire più centralmente. E qui non si capisce perché Inzaghi o i compagni in campo non lo abbiano invitato a cambiare (o forse l’hanno fatto invano?).

ZERO CONTROMOSSE

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Il calcio è sempre più gioco di strategie, come a scacchi, e Inzaghi ha perso su tutta la linea. Non si aspettava questo pressing così folle, mai visto prima dal Psg, ma doveva aspettarsi il tridente rotante, la mediana movimentista, la difesa alta e stretta. Questo è il Psg ’24-25. Dopo un tempo di zero doveva fare qualcosa, non aspettare ancora. Passare a quattro avrebbe evitato di chiudersi a cinque. Togliere Calha per Frattesi o Zalewski avrebbe comunque obbligato il Psg a studiare un nuovo atteggiamento. Troppa passività. Come ha spiegato il calcio d’inizio dell’Inter nella ripresa, classico: passaggio indietro, come da qualche anno permette il regolamento. Si poteva tentare qualcosa, ma l’Inter era nel caos.

LE EPOCHE DI LUCHO

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Luis Enrique s’è divertito a sovvertire molte logiche del calcio. Meglio non dimenticare che il suo primo Barcellona è un’evoluzione verticale, veloce e più aggressiva di quello di Guardiola. Pep aveva inventato, ma lui ha migliorato il giocattolo, e non è da tutti intervenire su un oggetto da museo e perfezionarlo. Passo indietro tattico e ideologico con la Spagna, forse legato anche alla tragedia familiare: il Luis Enrique che sbatte contro il Marocco insistendo per 120’ in passaggetti e tocchetti inutili, un migliaio, senza avvicinarsi all’area, somiglia molto all’Inter che non è riuscita mai a cambiare registro a Monaco ed è affondata senza neanche chiedere aiuto. Una sconfitta scritta. Il terzo Luis Enrique, quello di Parigi, sta proponendo situazioni che potrebbero diventare le nuove tendenze, come di solito succede in Champions.

ZERO CENTRAVANTI

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Una delle più conclamate è l’abbandono del centravanti. Ma come: neanche il tempo per Guardiola di abiurare al “centravanti che è lo spazio” e ricorrere ad Haaland, e Luis Enrique costruisce una stagione esaltante con Dembélé finto 9? Forse sarebbe meglio dire tre finti 9, perché Doué entra ed esce che è un piacere dal centro, e Kvara parte formalmente da sinistra ma va al tiro come faceva Ronaldo, 9 “esterno” del Real Madrid. La differenza è che non gli serve un Benzema per aprire vuoti al centro, ci pensa il movimentismo dei compagni a creargli quel vuoto. Hakimi è la quarta punta effettiva grazie a sovrapposizioni studiate e movimenti verso l’interno: Spalletti aveva creato nel Napoli un meccanismo straordinario, con Di Lorenzo che incrociava da mezzala, ma nella prima Roma era l’esterno difensivo che andava a fondo campo da ala, accentrando l’attaccante. Corsi e ricorsi.

TRE ATTACCANTI

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Il tridente rotante senza 9 – sia ben chiaro – è composto da tre attaccanti veri. Tre punte che per fisico, testa, tecnica, atteggiamento, non è che ritornino a fare la doppia fase. O lo fanno grazie alle linee arretrate molto più corte. Questo sembra l’ultimo messaggio anche al nostro calcio nel quale, salvo poche eccezioni, non si può giocare con tre punte: si stringono i due trequartisti dietro al centravanti per comporre una mediana a sei, si parla un po’ troppo spesso di “sostenibilità”. Come se Lippi non avesse vinto una Champions nel ‘96 con Vialli, Ravanelli e Del Piero assieme in un calcio, comunque, meno scientifico di oggi, ma nel quale il collettivo era fondamentale. Riusciremo a vedere tre attaccanti veri in contemporanea per scelta e non solo quando si deve recuperare lo svantaggio?

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