Iperconnessione, confronto costante e violenza verbale sui social stanno trasformando il nostro rapporto con il giudizio degli altri
Daniela Cursi Masella
26 giugno - 12:07 - MILANO
L’interazione umana online, da anni, ha cambiato pelle diventando illimitata nell’approccio e veloce nell’approfondimento. È tutto così a portata di mano che l’epoca delle cabine telefoniche sembra appartenere ad un’altra dimensione spazio-temporale. Detto questo, l’essere umano è sempre uguale ma oggi possiede un’infinità di estensioni per manifestarsi al mondo. Talvolta lo fa scatenando sul web e sui social un infernale dualismo tra la praticità dell’informazione e la pericolosità del giudizio. Troppo spesso superficiale. A volte spietato. Maggiormente a rischio sono, chiaramente, gli adolescenti: secondo il laboratorio di epidemiologia del Cnr-Ifc, sono oltre 1 milione gli studenti tra i 15 e i 19 anni (47%) che, nel corso del 2024, hanno subito episodi di cyberbullismo.
dipendenza e menzogna
—
Viviamo in un periodo storico che richiede un grande lavoro sull’autostima e una maggiore fortificazione dei rapporti vis a vis: l’umanità è l’unica via per far fronte alla bolla di conferma virtuale che gli esperti identificano come Fomo (Fear Of Missing Out, la paura di essere esclusi). Si tratta di una minaccia senza età che comincia con l’iperconnessione e cresce con la tendenza a mostrare sui social solo ciò che funziona in base ai “like”, perché da questo dipende il rafforzamento dell’autostima o la sua demolizione. È un gioco mentale perverso che si alimenta con l’esposizione continua di vite idealizzate e performanti che non corrispondono alla realtà. Il pericolo non è banale: ansia e depressione sono alle porte. Tradotto in percentuali, il 56% degli utenti social sperimenta regolarmente la Fomo. Il 69% è Millenial. Secondo uno studio turco la predisposizione alla Fomo colpisce maggiormente le persone con una scarsa abilità di regolazione emotiva.
il rapporto con il giudizio
—
Il giudizio parla di chi giudica, mai del giudicato. Questa dovrebbe essere la regola per chi si orienta sul web alla ricerca di recensioni su un prodotto o su una meta di vacanza. La criticità online, spesso anonimizzata, sfocia infatti facilmente in narrazioni detrattive fino a diventare aggressiva e disumanizzante. Si tratta di un processo mediatico che invade qualunque settore, compreso quello sportivo.
In occasione delle Olimpiadi Tokyo 2020, l’87% delle vittime sportive degli haters erano donne; il 55% dei contenuti evidenziavano motivi sessisti o razzisti. Attualmente, in Premier League, il 70% dei giocatori riceve quotidianamente messaggi d’odio (fino a 300 tweet al giorno). Questa disinibizione digitale giudicante, che atterra in puro odio immotivato, non si può fermare. Va solo ignorata. Per usare le parole di Cristiano Ronaldo: “Non sono qui per i miei haters, sono qui per rendere felici i miei tifosi”. La soluzione, forse, è quella di essere prima di tutto connessi con se stessi e con il mondo reale.