"Gli immobili vuoti, spesso
inagibili, saranno sempre più presenti nel panorama sociale
italiano, insieme alle famiglie unipersonali e all'incremento
della domanda di abitazioni, che si concentrerà soltanto in
alcune aree centrali, ovvero quelle in cui si concentrano
studenti e opportunità lavorative". E' quanto emerge da uno
studio di Confedilizia che mettendo in relazione la prospettiva
di un "inverno demografico" e la crescita di immobili
"collabenti" (degradati e inagibili), suggerisce la proposta del
"co-housing" come soluzione innovativa sul modello
dell'esperienza del nord Europa.
Il quadro demografico è caratterizzato da un aumento del
numero e della proporzione di anziani, con l'effetto di un
"forte aumento dei nuclei composti da persone sole, sempre più
spesso anziane, che, secondo l'Istat, sono il 36,2% di tutte le
famiglie", evidenzia l'analisi. "Tutto ciò ha forti conseguenze
sul mercato immobiliare", con la "perdita di valore nelle aree
più periferiche": questo è "anche il sintomo di un'offerta
superiore alla domanda, che produce l'aumento degli immobili
collabenti", ovvero edifici abbandonati, non abitabili e
incapaci di generare reddito, evidenzia l'analisi: in dieci anni
sono passati da 441.497 a 692.022, con un incremento del 56,7%.
Di fronte alle nuove esigenze abitative, co-housing e
co-living possono rappresentare "risposte innovative",
suggerisce l'analisi, spiegando che la condivisione degli spazi
abitativi può attuarsi con diverse formule, come quella che
riguarda solo gli anziani, oppure il co-housing
intergenerazionale che coinvolge anziani e giovani che vivono in
alloggi privati ma condividono una sala comune in cui mangiare,
lavorare o passare tempo insieme. Una realtà che ha preso piede
nel nord Europa, ma che in Italia conta poche realtà: la
percentuale di italiani che vive o ha considerato di vivere in
co-housing, indica lo studio, è pari al 4,8%.
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