Percentuali diverse, certezze appese a un filo, fiducia reciproca che stenta a decollare. I dazi di Donald Trump al 15% per i prodotti europei sono entrati ufficialmente in vigore ma, nella Commissione Ue, si ha comunque l'impressione di dover navigare a vista. E perfino i pazienti funzionari di Palazzo Berlaymont cominciano a manifestare segni di insofferenza. La nuova minaccia del presidente americano sulle tariffe al 100% per i semiconduttori, a Bruxelles, non è proprio piaciuta. "L'intesa al 15% per noi vale anche per farmaci e chip", hanno puntualizzato dall'esecutivo Ue, entrando in tackle anche su un altro punto caro al tycoon, quello dei miliardi destinati a fluire negli Usa. "Gli investimenti promessi non sono vincolanti", è la linea rossa tracciata da Ursula von der Leyen.
La sensazione è che, pur essendo il 7 agosto alle spalle, si continuerà a ballare a lungo nel mare in tempesta dei dazi. Washington li ha ormai eletti a arma geopolitica e a Bruxelles ne sono perfettamente consapevoli. L'obiettivo, per la Commissione, è arrivare alla dichiarazione congiunta il prima possibile, per dare finalmente una bussola a un tessuto industriale sempre più in subbuglio. Il testo congiunto "è sul tavolo di Washington, la palla è nel loro campo" e "ci attendiamo che ci aiutino a fare passi avanti", ha affermato il portavoce della Commissione Olof Gill. Tradotto: a mancare è il via libera di Trump.
Il timing, si diceva, resta un'incognita. Basti pensare che, dalle parti della Commissione, non era chiaro neanche quando i dazi al 15% sarebbero entrati in vigore. Nei giorni scorsi la previsione è che la tariffa fosse operativa a cavallo tra il 7 e l'8 agosto. Non è andata così. "Da quanto ci risulta" i dazi Usa "sono entrati in vigore a partire da oggi", ha spiegato Gill. Meglio, allora, procedere a piccoli passi. Per il settore delle auto, ad esempio, Bruxelles si aspetta che "a giorni" la Casa Bianca emetta un ordine esecutivo con il taglio della percentuale dal 27,5% al 15%, fondamentale per ammorbidire l'impatto delle tariffe su un comparto che, secondo il Wall Street Journal, ammonterebbe già a 12 miliardi. Su farmaci e chip la Commissione si aspettava una tariffa pari a quella della Nazione più favorita (4,8%) almeno fino alla chiusura delle indagini da parte di Washington. Ma nell'ordine esecutivo americano non c'è alcuna deroga. Il risultato è una totale incertezza.
A fronte di tutto ciò l'Ue comincia a mettere qualche puntino sulle 'i' sui 1.350 miliardi (600 in via generale, 750 in acquisti di energia) di investimenti che, in Scozia, von der Leyen ha promesso a Trump. "Questi impegni non sono vincolanti: la Commissione non ha il potere di imporli. Si tratta però di intenzioni trasmesse in buona fede, dopo aver consultato le nostre industrie e gli Stati membri per avere un quadro chiaro delle prospettive", ha frenato Gill. Lanciando un avvertimento e snocciolando, al tempo stesso, una presa d'atto: è quasi impossibile che tutte le imprese di tutti e 27 paesi membri accettino di buon grado i diktat di Trump.
In linea generale la posizione della Commissione sulla bontà dell'intesa del 27 luglio non cambia. Ma nuove ombre si stagliano all'orizzonte. Il segretario di Stato Marco Rubio, secondo quanto rivelato dalla Reuters, ha incaricato i diplomatici americani in Europa di avviare una campagna di lobby per creare opposizione al Digital Service Act, con l'obiettivo di incassare il sì dei singoli governi per modificare o abrogare la legge europea odiata dalle Big Tech. L'Ue ha sempre sostenuto che il Dsa non è parte di un'intesa con gli Usa. "Il tentativo di sabotaggio da parte di Rubio è inaccettabile. Le regole in Europa le facciamo noi europei. E le applichiamo", ha protestato Sandro Gozi di Renew Europe. La partita sembra solo rimandata a settembre, quando - tra l'altro - von der Leyen ha intenzione di sarà un'accelerazione definitiva al trattato Ue-Mercosur, possibile pilastro di un'alleanza commerciale anti-Trump al quale, timidamente, si comincia a pensare anche in Europa.
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