Brio: "Atene, che rimpianto. L'Inter? Mi avrebbe pagato il doppio ma ero troppo legato alla Juve"

9 ore fa 5

Il difensore che ha vinto 4 scudetti e tutte le coppe internazionali e oggi è ambassador del club bianconero si racconta: "Che storia quella del morso del cane a Roma... La Nazionale? Mai stato un cruccio"

G. B. Olivero

27 aprile - 11:15 - MILANO

Stopper. Non centrale, non braccetto, non marcatore. Semplicemente e meravigliosamente stopper. Parola che profuma del calcio di una volta, quello in cui il 5 si appiccicava al 9 e il 2 all’11. Parola che racconta una missione: fermare, in qualunque modo, gli attaccanti. Sergio Brio è stato un grande stopper: "Erano anni bellissimi, in Italia giocavano punte incredibili. Van Basten, Rummenigge, Giordano, Careca, Altobelli e tanti altri: oggi farebbero tutti 30-35 gol a campionato. Ogni volta era una faticaccia, non potevi distrarti. E appena riconquistavi la palla dovevi anche saperla gestire: altro che scarponi, gli stopper bravi avevano anche una discreta tecnica". Brio, oggi ambassador della Juve, ha vinto tutte le coppe internazionali (ci sono riusciti in sei) senza mai giocare in azzurro ("Ma non è un cruccio. La mia Nazionale è sempre stata la Juve"). Quando parla, ti trasmette una sana nostalgia e anche la gioia di essere stato protagonista di un’epoca forse irripetibile. 

Eppure tutto ha rischiato di finire prestissimo, giusto? 

"Nel 1974 il Lecce mi portò in ritiro con la prima squadra e al ritorno mi vendette per 400.000 lire al Calimera, in Prima categoria. Mio padre, che non sapeva nulla di calcio, mandò un telegramma per rifiutare il trasferimento. Pochi giorni dopo esordii in prima squadra e Vicini mi convocò a Coverciano con la Juniores. Si interessarono la Fiorentina e soprattutto il Milan, ma Boniperti fu più veloce e mi acquistò per 80 milioni. In due settimane dal Calimera alla Juve. Andai in prestito per tre anni alla Pistoiese, ma poi iniziò la mia storia in bianconero". 

Si fece amare dai tifosi con un gol da centravanti in finale di Coppa Italia nel 1979. 

"A Napoli contro il Palermo. Eravamo sotto 1-0 fin dal 1’ e Trapattoni mi inserì nella ripresa per fare la punta sfruttando fisicità e colpo di testa. Sulle scalette del sottopassaggio incontrai Boniperti che mi disse: 'Spacca tutto, dobbiamo vincere a ogni costo'. Pareggiai a pochi minuti dalla fine e nei supplementari Causio segnò il gol decisivo. All’inizio io ero la riserva di Morini, ma non c’era rivalità: anzi, Francesco mi aiutò tantissimo e oggi mi manca molto. Lo studiavo per imparare". 

Cosa combinò per far arrabbiare quel cane all’Olimpico nel 1983? 

"Ahahah... Sfida scudetto, Roma in vantaggio con gol di Falcao, pareggia Platini con una punizione magnifica e nel finale io segno di testa su cross di Michel. Vedo che Galeazzi mi sta cercando per intervistarmi, gli vado incontro e parliamo mentre un poliziotto si avvicina con un cane che aveva il fazzoletto giallorosso al collo. Il cane tira, il poliziotto lo molla e così vengo morso alla coscia. Devo tirargli un calcio per allontanarlo. Nello spogliatoio il dottor La Neve mi medica e poi va a cercare il poliziotto per chiedergli se il cane avesse fatto il vaccino contro la rabbia. L’agente si scusa e garantisce sul vaccino. E La Neve, al volo: 'Domani muore il cane, perché Brio non è vaccinato'...". 

Quella Juve era tra le due-tre più forti di sempre. Ma arrivò seconda in campionato e perse la finale di Coppa Campioni. Perché? 

"Difficile da capire, davvero. Il rimpianto è Atene, quel gol di Magath. Fu una serataccia. Se avessimo battuto l’Amburgo, sono convinto che avremmo vinto due Coppe Campioni di fila. Il gruppo era fortissimo, non a caso nel giro di pochi anni conquistammo tutti i trofei internazionali". 

A proposito: lei tirò il primo rigore a Tokyo, nella finale di Coppa Intercontinentale del 1985 contro l’Argentinos Juniors. Come mai? 

"In allenamento segnavo spesso. Sapevo che, nel caso, sarei stato il primo. La partita era stata durissima. Prima di incamminarmi verso il dischetto incrocio Trapattoni. “Come stai, Sergio?”. “Sono stanco mister”. “Ma come sei stanco? Tu sei il miglior rigorista della Juve. Di solito tira Michel perché ci tiene e perché i tifosi se lo aspettano, ma io farei battere sempre te. E se adesso incroci di forza, segni sicuro”. Grande Trap, mi tranquillizzò. Feci gol e vincemmo. Avevo un grande rapporto con lui. Quando andò all’Inter, un giorno mi chiamò: 'Vengo a cena da te'. Si presentò e mi disse: 'L’anno prossimo sposto Ferri a destra, Mandorlini a sinistra e tu stopper'. Ma gli dissi no: ero troppo legato alla Juve e a Boniperti che mi aveva aspettato quando mi ero fatto male seriamente nel 1980. All’Inter mi avrebbero dato il doppio. Anni dopo diventai vice di Trapattoni alla Juve e vincemmo la Coppa Uefa nel 1993". 

Ha giocato con Platini e allenato Baggio e il primo Del Piero. In quale ordine li mettiamo? 

"Tutti e tre sul piedistallo. Se proprio devo scegliere: Michel, Alessandro, Roberto". 

Brio era duro o cattivo? 

"Certamente duro, cattivo il giusto, leale sempre. Ero molto forte fisicamente e questo mi aiutava. Il centravanti deve avere un po’ di paura dello stopper, fa parte del gioco. Il mio amico Di Gennaro mi ha raccontato che Elkjaer non dormiva la notte prima di affrontare me. E il danese mica era uno piccolo". 

Gentile-Brio-Scirea o Barzagli-Bonucci-Chiellini? 

"Non si possono paragonare epoche diverse. Due belle difese, però eh... E Chiellini è stato il mio erede. Prima di lui ho molto apprezzato Kohler e Ferrara". 

Sergio, cosa succede alla Juve di oggi? 

"Serve pazienza. A volte i tifosi non ce l’hanno perché sono abituati bene. Ma il progetto c’è e si deve insistere. C’era la necessità di abbattere il costo degli stipendi, qualche difficoltà è naturale. E’ solo questione di tempo: la Juve tornerà a vincere e l’attuale dirigenza sta facendo un gran lavoro per ridurre l’attesa".

Leggi l’intero articolo