(di Giorgio Gosetti)
La vera questione di fronte a un
verdetto composito ed ecumenico come quello del 78/o Festival di
Cannes è: i nove giurati hanno scelto all'unanimità? Nessuno lo
dice chiaramente, ma dal calore con cui parlano della Palma
d'oro, 'A Simple Accident' di Jafar Panahi, e dei due premi al
film brasiliano 'O Agente Secreto', è chiaro che questi sono
stati i soli capaci di raccogliere l'unanimità. Nel racconto dei
giurati vince invece la diversità di vedute che ciascuno ha
esaltato come un valore.
"È stata un'esperienza che ci ha permesso di imparare gli uni
dagli altri" dice Alba Rohrwacher, mentre Juliette Binoche
racconta: "Ho avuto l'impressione di scalare una montagna
insieme ai miei colleghi. Mi ha molto colpito quando uno di noi
mi ha domandato… insomma quanto conta per te il cinema? E ho
capito che mi metteva alla prova avendo la stessa mia febbre
addosso. La ricerca del verdetto ci ha visti discutere come se
fossimo stati ostetrici gli uni per gli altri, impegnati insieme
a far uscire il bambino che è ogni premio".
"La scelta di un premio speciale non previsto per
'Resurrection' di Bi Gan - aggiunge la presidente della giuria -
stata un'idea mia; proporre questi strappi alla regola è facoltà
del presidente e la giuria ha adottato questa mia proposta.
Vedere questo film è stata un'esperienza davvero diversa anche
se a volte era necessario inventare e farsi trasportare da un
mistero che non comprendiamo fino in fondo".
Si ha l'impressione che alla fine i nove membri di questa
strana "compagnia dell'anello" che ha espresso un verdetto
ecumenico, in cui gli unici veri assenti sono i cineasti
americani, abbia trovato una reale empatia. "Cosa ricorderò di
questi giorni? - ha riassunto per tutti l'attore americano
Jeremy Strong -. Che sono stati 11 giorni a pancake e champagne
che non dimenticheremo mai".
Se, come dice Hong Sang-soo, "abbiamo tutti amato 'O Agente
Secreto' per la qualità del suo regista, di cui io avevo visto
le opere precedenti, ma anche per la forza delle idee che riesce
a comunicare con un gesto creativo assolutamente
cinematografico", la passione per ?A Simple Accident' è così
riassunta dalla scrittrice marocchina Leila Slimani: "È un gesto
artistico, umano e quindi anche politico che viene da un paese
difficile in un racconto di grande attualità che ci ha commosso
per come dimostra che l'arte vincerà sempre e può aiutare a
raccontare, e in qualche modo realizzare, l'impossibile
ispirando tutti noi".
Conclude Juliette Binoche: "Oggi viviamo in un mondo di
violenza e crudeltà in cui è tanto importante mettere al centro
la necessità del perdono come alternativa alla brutalità. Quello
di Jafar Panahi è un messaggio fulminante che ci coglie tutti
mentre stiamo nel fango, lontani dalla speranza, e ci spinge
invece a reagire opponendoci con l'arte e la vita alla crudeltà
di potenti e governi".
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