Dopo aver per anni sostenuto che conta chi gioca e non chi allena, i brasiliani hanno capito che il manico conta eccome
Carlo Ancelotti allenerà il Brasile. Orgoglio, innanzitutto. Un italiano insegnerà calcio agli dei del gioco. Come vendere ghiaccio agli eschimesi. Chissà come l’ha presa Zico che a suo tempo teorizzò: "La vittoria degli azzurri al Mundial ’82 ha rovinato il calcio". Diventato più tattico che tecnico, a suo dire. Arthur, un brasiliano come Bruno Conti, voi non ce l’avevate. Secondo: sul terzo gol alla Germania in finale, conta quanti difensori avevamo nell’area crucca. Sono proprio gestioni sciagurate come quella del Sarrià a dimostrare il bisogno di un Ancelotti. I brasiliani della tattica si vergognano, come i bambini del salvagente. Hanno tratto il gioco da una danza, la ginga, e vogliono imporsi di sola tecnica. Infatti, chiamavano “asino” Parreira che, con Mazinho e Dunga, vinse Usa ’94 all’italiana.
falcao
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Conta chi gioca, non chi allena. Lo dimostrarono nel ’90 affidando, dopo Lazaroni, la Seleçao a Falcao che non aveva mai allenato. Ce lo raccontò Liedholm in un ristorante di Cuccaro, tra le vigne del Monferrato, dove viveva: "Ho portato qui anche Falcao. Stesso tavolo. Venne a chiedermi qualche dritta per allenare. Gli scrissi degli esercizi su un tovagliolo di carta e gli chiesi: 'Paulo, cominci dai bambini?'. Rispose: 'No, dal Brasile". Un anno dopo il Divino si era già dimesso: 6 vittorie in 18 partite. Stavolta la Seleçao ha scelto un altro figlio di Liddas, molto più attrezzato. L’unico allenatore ad aver vinto i 5 campionati top d’Europa e 5 Coppe Campioni guiderà l’unica nazionale pentacampione del mondo. Il migliore per i migliori. Sopracciglio, in portoghese, si dice “sobrancelha”.