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Per crescere dei talenti che riescano a consolidarsi serve pensare a loro in maniera diversa. All'estero hanno saputo farlo, qui forse sta cominciando una nuova era
Pierfrancesco Archetti
13 ottobre - 09:18 - MILANO
Non esistono giocatori troppo vecchi o troppo giovani, ma giocatori bravi o scarsi (oppure non all’altezza, per non essere troppo brutali). Una vecchia regola del calcio, dello sport, spesso in Italia viene interpretata in maniera ambigua e diversa, come se fosse un fallo di mano in area. Soprattutto quando si tratta dei ragazzi, la crescita si deve accompagnare attraverso fiducia, coraggio e pazienza. Quest’ultima virtù è molto rara nel nostro calcio, la comprensione anche di alcuni errori dovuti all’inesperienza è spesso limitata, viene lasciato poco tempo a tutti, anche agli allenatori che magari osano la mossa audace, quella di confermare un ragazzo anche se non riesce a tirar fuori immediatamente le qualità per le quali è stato promosso fra i grandi. E poi ci sono gli spogliatoi che brontolano o quelli che accolgono, insegnano, dove per spogliatoio si intende un gruppo di lavoro, ma questo succede in tutti gli ambiti professionali. I successi di Pio Esposito in questo periodo sono sotto gli occhi dei giudici più intransigenti: primo gol in Serie A il 27 settembre, a Cagliari; primo centro in Nazionale l’altra sera a Tallinn. Senza che di colpo sia diventato il salvatore di una nazione che ha giocato l’ultima partita al Mondiale undici anni fa, Esposito sta rendendo giustizia a un atto di coraggio del suo allenatore all’Inter, Cristian Chivu.