Il danese, secondo al Tour, senza Pogacar è il favorito: "Pressione? So di essere il favorito, un po’ di attesa esiste, ma sono contento di essere qui, non vedo l’ora di incominciare"
Se il ciclismo fosse matematica, allora Jonas Vingegaard avrebbe in pratica già vinto la Vuelta - che scatta domani da Torino — vista l’assenza di Tadej Pogacar, l’unico capace di batterlo (tre volte) al Tour de France a partire dal 2021. Ovvio che le cose non stanno così - le 21 tappe di un grande giro possono essere il trionfo dell’imprevedibilità, nel bene e nel male - ma il danese della Visma resta il favorito dell’80a edizione, quella dei 90 anni. E la squadra al suo fianco è ben attrezzata per scortarlo fino al 14 settembre a Madrid: con lui ci sono Kuss (vincitore nel 2023), Campenaerts, Kelderman, Jorgenson, Van Baarle, Tulett e Zingle. Dopo il Tour, Vingegaard ha fatto base - come di consueto in estate - ad Annecy, in Francia, con la famiglia: a vederlo collegato via zoom dal Piemonte con la stampa internazionale, assieme al capo dei ds Grischa Niermann, è apparso deciso e concentrato. In una parola sola: pronto.
Jonas, anzitutto come sta?
"Bene. Mi sono goduto del tempo con i miei cari e mi sono allenato al meglio. Ho fatto tutto ciò che dovevo e l’obiettivo che ho è vincere la Vuelta. Ho avuto solo una piccola indisposizione ma davvero minore, non mi ha condizionato".
Ha ripensato alla Vuelta 2023, quella con il podio tutto della Visma, con lei al secondo posto tra i compagni Kuss e Roglic?
"Resterà un grande orgoglio per il team: un qualcosa di mai visto prima, e chissà quando succedere la prossima volta. Personalmente, all’inizio ero un po’ malato, poi mi ero rimesso. Ora spero di non avere nessun problema nei primi giorni".
Stavolta Pogacar non c’è: sarà più facile? O avrà più pressione, sentendosi obbligato a vincere?
"Onestamente, è il Tour de France la corsa in cui c’è più pressione, non questa. So di essere il favorito, un po’ di attesa esiste, ma sono contento di essere qui, non vedo l’ora di incominciare".
Avrebbe preferito che Tadej ci fosse?
"È sempre bello gareggiare contro di lui, però lo scopo che ho quando sono in competizione è sempre vincere, a prescindere da chi ci sia. Per la Vuelta ho un piano, anzi abbiamo un piano assieme al team: ma non voglio svelarlo".
Ultimamente lo sloveno ha evocato, per se stesso, una certa stanchezza mentale, e si è sviluppato un dibattito. Lei prova le stesse sensazioni?
"Di sicuro il ciclismo, negli ultimi anni, in generale è cambiato: si arriva più giovani ad esprimersi al massimo. Io, a dicembre, compirò 29 anni. E fino a dieci anni fa, sarebbe stato questo il momento del miglior rendimento, o dei migliori risultati. Ora no, c’è molta più pressione quando si è giovani, è più facile stancarsi. Spesso, se non sei in gara, sei in ritiro in altura, comunque lontano da casa: è questo che tocca ai corridori. Diciamo che sarà improbabile vedere i top di quest’epoca gareggiare fino a quarant’anni".
Chi saranno i rivali principali della Vuelta?
"Almeda e Ayuso sono i primi nomi che mi vengono in mente, e il fatto che la Uae abbia due carte da giocare può essere un punto a loro favore. Hanno un team fortissimo. Avrei considerato parecchio anche Carapaz, se fosse venuto. Il livello comunque è alto, e mi aspetto anche delle sorprese".
Al Tour, per sua stessa ammissione, aveva avuto due giornate storte: la prima crono e l’arrivo in salita di Hautacam. Teme che possa accadere lo stesso alla Vuelta?
"Spero che per quest’anno siano finiti i momenti negativi in corsa. Ci siamo dati delle spiegazioni di quanto accaduto, ma le teniamo per noi".
Il fatto di avere il Tour alle spalle può svantaggiarla rispetto a chi, come Ayuso, non l’ha corso?
"Sul piano della preparazione, per me forse starebbe stato meglio andare in quota in vista della Vuelta, ma va considerato anche l’aspetto mentale e dunque non cambierei le mie scelte. Magari, per qualcuno, non avere disputato il Tour potrà rivelarsi un vantaggio".
Dalla quinta giornata, tornerà a gareggiare in una corsa a tappe in Spagna dopo la caduta nei Paesi Baschi ad aprile 2024: quel ricordo potrà condizionarla?
"No, in nessun modo".
Cosa significherebbe per lei vincere la Vuelta?
"Realizzare uno degli obiettivi che mi sono posto quando ho iniziato a pedalare tra i professionisti. Credo che, il giorno del gran finale a Madrid, mi potrei considerare davvero soddisfatto e appagato solamente con il successo finale".
Ci sono alcune tappe con una salita sola nel finale. Si è preparato in modo specifico?
"Tappe così vanno affrontate in un modo diverso rispetto a quelle con 4-5 salite consecutive, però nel complesso della preparazione per un giro di tre settimane non ci sono grandi differenze".
Infine, i programmi per il post-Vuelta: ci sarà al Mondiale in Ruanda del 28 settembre?
"No. Quest’anno trasferta e percorso sono impegnativi ed esigenti al massimo livello. Bisognerebbe essere davvero in forma, tutto dovrebbe funzionare alla perfezione... Dunque, non potendo sapere in anticipo come uscirò dalla Vuelta, ho deciso di rinunciarvi e di essere al via dell’Europeo in Francia il 5 ottobre (dove è atteso pure Tadej Pogacar per il loro unico incrocio dopo il Tour de France; ndr). Invece il Lombardia, sabato 11, non è nei miei piani".