The Zen Circus raccontano 'Il Male': "Non serve San Siro per suonare bene"

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La band pisana torna con il nuovo album, in uscita il 26 settembre per Carosello Records e all'AdnKronos parla della scena italiana, di Sanremo e della polemica dei finti sold out: "Siamo l'ultima scheggia dell’alternative rock"

Quando suonano gli Zen Circus, ogni momento conta. Con un’uscita a sorpresa, la band pisana ha riacceso gli amplificatori lanciando ‘È solo un momento’, nuovo singolo e primo tassello del disco ‘Il Male’, in arrivo il 26 settembre per Carosello Records. Dopo tre anni di silenzio e progetti solisti, Andrea Appino, Karim Qqru e Massimiliano ‘Ufo’ Schiavelli tornano a fare quello che riesce loro meglio: scuotere le coscienze a colpi di rock ruvido e senza compromessi. Il brano, accompagnato da un videoclip diretto da Mòndeis, ha già trovato il favore del pubblico: la band si lascia travolgere da un’onda di fan in un rito di sudore, energia e immagini potenti, come il tatuaggio di Appino realizzato in diretta in mezzo alla folla. Con oltre vent’anni di carriera e dodici album all’attivo, The Zen Circus si confermano tra le realtà più longeve e influenti della scena indipendente italiana. E a novembre ripartono dal palco: dieci nuove date per riscrivere, ancora una volta, il presente dell’alternative rock italiano. L'AdnKronos ha incontrato la band per una chiacchierata a 360 gradi sul nuovo lavoro discografico e sul significato di fare oggi musica in Italia.

Dopo due anni di silenzio tornate con un nuovo album: che tipo di urgenza vi ha spinto a scrivere un nuovo disco e cosa volete che racconti di voi oggi?

Andrea: "Sono tre anni che non facevamo un disco. Se parliamo di un classico disco Zen, addirittura cinque. Ogni dieci anni ci allontaniamo un po’ dal Circo, ognuno si dedica ai propri progetti, ma poi succede sempre: nasce un’urgenza, il bisogno di tornare a suonare insieme. È come se dovessimo allontanarci per ricordarci quanto ci piace farlo. Io nel frattempo ho portato avanti un progetto solista piuttosto folle: tutte le canzoni nate d’urgenza le ho messe da parte perché non si adattavano. Così, quando ci siamo ritrovati, è esplosa la necessità di tornare a suonare: questo disco è nato così, in sala prove, suonando".

Karim: "Abbiamo ripreso una metodologia che non usavamo dai tempi de 'La terza guerra mondiale': ci siamo chiusi in sala e abbiamo semplicemente suonato, tanto, come dovrebbe fare una rock band. Poi abbiamo registrato. Niente sovrastrutture, niente edit. Oggi è quasi rivoluzionario fare un disco così".

Vi trovate più a vostro agio in studio o sul palco?

Ufo: "Io non amo lo studio, anche se è necessario per cristallizzare un momento".

Andrea (scherza): "Avete presente quei meme sui bassisti?"

Ufo: "Ecco, li rappresento tutti. Però è vero: siamo una band da live. Il disco fissa un momento, ma poi il vero banco di prova è il palco. E questo album è stato pensato già con quella resa in mente".

Andrea: "Finché una canzone non la suoni dal vivo, per me non è davvero uscita. Solo quando la senti cantare dalla gente, prende vita".

I vostri fan sono cresciuti con voi, ma vi ascoltano anche ventenni. Che rapporto avete con questo doppio pubblico?

Risponde la band: "Il nostro motto è 'se non ci foste stati voi, non ci saremmo stati noi'. È davvero una famiglia allargata, disfunzionale, ma reale. Alcuni dei primi fan oggi portano i figli ai concerti. Il rapporto è di scambio e rispetto. E' una famiglia ma non sono i nostri 'padroni': fare quello che ci sentiamo è il miglior modo di onorarli. I nostri 'parenti' ci lasciano liberi".

Avete attraversato oltre vent’anni di scena indipendente. Cosa resta oggi di veramente 'indie' in Italia?

Karim: "Per noi il termine 'indie' rimanda alla musica americana anni ’80, quella raccontata da Michael Azerrad, 'American Indie': Black Flag, Minor Threat, Sonic Youth, Minutemen…

Andrea: "In Italia oggi 'indie' è sinonimo di hit pop, e va bene così, ci sono cose belle anche lì. Ma noi siamo una delle ultime schegge dell'alternative rock. Certo, abbiamo sperimentato con altri generi, anche l’elettronica. Ma c’è stato un cambiamento inevitabile, legato alla società e alla tecnologia. Il nostro pubblico è unico: si rinnova di anno in anno, con una forbice d’età larghissima. E ci insegna un sacco".

Potete anticiparci qualcosa sui testi del nuovo disco?

Risponde la band: "Il disco si intitola 'Il Male'. E oggi il male se la passa benissimo. Ma è anche un talento umano: il male c’è sempre stato, e parlarne è sempre attuale. Nei testi ci sono varie declinazioni del concetto: il male come dolore, come contrapposizione al bene, come qualcosa di affascinante e profondamente nostro. Ci chiediamo se non sia il caso di riconoscerlo e abbracciarlo, per evitare di diventarlo".

Con 'La terza guerra mondiale' sembrava aveste anticipato quello che sta succedendo nel mondo.

Ufo: C’è chi sostiene che siamo già nel pieno di un nuovo conflitto globale. Cerchiamo sempre di leggere l'attualità, ci piace ‘acquarellare’ il presente. Forse quando abbiamo fatto ‘La terza guerra mondiale’ si sentiva un profumo di anni Trenta".

Karim: "Quando sei dentro la storia è difficile capire cosa sia davvero guerra o no. Ma sì, l’Occidente è in guerra da anni".

Quanto contano oggi, per voi, le canzoni, in un mondo saturo di contenuti? Hanno ancora un potere politico o emotivo?

Andrea: "Le canzoni valgono molto più di certi proclami. Quando un messaggio sociale passa attraverso una canzone, può davvero lasciare il segno. Non cambiano il mondo, ma aprono teste. Una buona canzone resta, resiste al tempo più di un post o un’intervista".

Avete mai pensato di tornare a scrivere in inglese?

Risponde la band: "Dal 2005, quando è arrivata la prima canzone in italiano, non siamo più tornati indietro. Cantare in inglese era parte del sogno di 'andare fuori', ma paradossalmente ci teneva fermi nella nostra provincia. Solo quando abbiamo iniziato a parlare delle nostre vite, dei bar vicino casa, siamo usciti dalla provincia…fino ad arrivare in Australia. E oggi c’è musica italiana che viene ascoltata ovunque, in italiano.

Quanto vi sentite legati alla provincia?

Ufo: "Lo siamo a doppio filo. Più giriamo l’Italia, più ci rendiamo conto di quanto la provincia sia un serbatoio narrativo inesauribile".

Andrea: "Pensavamo di averla capita tutta, ma non è così. Ora viviamo in una fase molto 'Milano-centrica' o 'Roma-centrica', ma noi restiamo fieramente provinciali. Ci piacerebbe un ritorno a un certo sano 'provincialismo'.

Karim: "La provincia ci ha dato Andrea Pazienza e i sassi dal cavalcavia. È inscindibile. Artisticamente, mi manca".

Cosa c’è oggi di 'Zen' e cosa è rimasto di 'Circus'?

Risponde la band: Il Circus siamo noi, con le nostre facce: più clown che acrobati. Come quei vecchi circhi un po’ logori, ma vivi. Gli Zen oggi sono più zen. Abbiamo più pace interiore, una serenità anche nel ruolo che occupiamo. Non dobbiamo più dimostrare nulla".

Andrea: "Oggi vogliamo solo scrivere buona musica. Abbiamo scritto anche roba brutta, certo (ride), ma ora sappiamo cosa vogliamo fare. Questo disco ci ha riappacificati.

Ufo (scherza): "Li ho riascoltati tutti i dischi degli Zen, e questo è uno dei migliori".

Avete mai pensato a un ritorno a Sanremo? È un tabù o un’opportunità?

Ufo: "Io voglio condurlo, Sanremo. È il mio obiettivo".

Andrea e Karim: "A Sanremo ci siamo divertiti come pazzi. Non avevamo aspettative o pressioni. Ci siamo andati con una canzone che non avrebbe cambiato la nostra carriera, e proprio per questo è stato bellissimo.

Karim: "Ma mai dire mai. È stato un bel ricordo, e la canzone era quella giusta, anche se meno pop di altre nostre.

Cosa ne pensate della polemica sui finti sold out?

Ufo: "Fa sorridere che se ne parli solo ora: è una pratica nota. E fa ridere sentire 'spiegoni' da chi faceva stadi negli anni ’70".

Karim: "Dispiace quando qualcuno giovane ci finisce dentro per ingenuità".

Andrea: "Il punto è che non serve crescere sempre. Noi siamo in una bolla da vent’anni, e funziona. Vorremmo che i ragazzi lo sapessero: si può fare musica così, senza arrivare per forza a San Siro. Ovvio che ci farebbe piacere fare San Siro ma non è che vogliamo a tutti i costi San Siro. Se uno vuole essere un musicista per molti anni deve mettere in conto che avrà dei momenti in cui andrà su e dei momenti in cui andrà giù. Il problema è legato a quest'idea di sogno che poi diventa una trappola. E’ bellissimo credere in qualcosa: crederci ma non fissarsi".

Qual è stato il primo artista che vi ha folgorati da ragazzini? E cosa resterà della musica italiana tra vent’anni?

Andrea: "Io con il Wembley ‘86 dei Queen: l’ho visto dieci volte di fila. Poi mi sono innamorato dei Nirvana e Kurt è morto. Ma sono rimasto legato a quella potenza. In Italia, secondo me i Verdena resteranno".

Karim: "Io dico Marracash, per il percorso che ha fatto, è andato oltre il rap".

Ufo: "La prima band che mi ha fatto impazzare è stata i Ramones: mi sembrava di poter in qualche modo entrare da quella porta nella musica e di poter imparare. In Italia rimarrà Cremonini. E’ uber classico e proietterà la sua ombra per molti anni".

Karim: "Per me i Melvins, che poi mi hanno fatto scoprire i Nirvana in un negozio di dischi a Pisa. Fanno un disco all’anno e cento concerti: è quello che dovrebbe fare la musica, aprirti altre porte". (di Federica Mochi)

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