Rufo Verga: "Maldini si fa male, e Sacchi mi fa esordire in Serie A. Ora faccio il pane in California"

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Tre presenze nel Milan di Sacchi, stagione 1987-88, poi una carriera tutta in salita a causa di problemi fisici: "Dopo la seconda operazione mi chiamò Berlusconi, parole bellissime. Già da ragazzo mi piaceva impastare, così ho cominciato a perfezionarmi finché non ho avuto l'occasione di aprire un negozio in America e..."

Sebastiano Vernazza

Giornalista

13 ottobre - 07:59 - MILANO

Nella foto ufficiale del Milan campione d’Italia 1987-88, il primo scudetto dell’era Berlusconi, con Arrigo Sacchi allenatore, un ragazzo biondo spicca nella fila dei seduti. È il primo da sinistra e si chiama Rufo Emiliano Verga. Ha 18 anni, viene da Legnano, Sacchi gli ha concesso tre presenze. Tutti ne parlano bene, è un centrocampista di piede e di fisico, anche se molti pensano che possa diventare un libero forte, un difensore centrale alla Franco Baresi. La malasorte - sotto forma di gravi infortuni alle ginocchia – rovinerà i piani. Quasi quarant’anni dopo, quel ragazzo biondo è un imprenditore nel ramo della panificazione e della pasticceria. A Richmond, negli Stati Uniti. Non Richmond capitale della Virginia, ma Richmond in California, nella baia di San Francisco.

Verga, cominciamo dalla fine. Come è finito in America?

 “Avevo un punto vendita in piazzale Cadorna, a Milano. Nel 2006, il signor Vegetti, proprietario della catena 'Il Fornaio', mi chiese se fossi interessato a trasferire l’attività negli Usa. Ci ho pensato un po’ e nel 2007 sono partito, mi sono innamorato di San Francisco e ho deciso di restare”.

Poi?

“Oltre al signor Vegetti avevo come socio un signore italiano re del caffè, Carlo Di Ruocco, fondatore della catena 'Mister Espresso' e insieme abbiamo aperto un locale a Berkeley. Pizze, panini, focacce e… caffè. Una bakery all’italiana. A seguire altre aperture e chiusure. Ora lavoro a Richmond, da qui vedo il Golden Gate (il famoso ponte di San Francisco, ndr). Il locale l’ho chiamato Café Gran Milan, in onore di Milano, perché per me Milano è sempre grande. Siamo in una zona industriale, tra due strade, una location nascosta, e all’inizio la cosa mi preoccupava, ma ci siamo fatti conoscere. Oggi abbiamo una clientela affezionata, gente che viene apposta per comprare i nostri prodotti. Li abbiamo fidelizzati grazie alla qualità, sanno che da noi mangiano come mangerebbero in Italia”.

Gli affari vanno bene?

“Sì, abbiamo quattro dipendenti e un ottimo fatturato. Poi ho fatto investimenti nell’immobiliare. Qui c’è un mercato del lavoro dinamico, si possono avere tante occupazioni”.

Come nasce la sua passione per la panificazione?

“Quando venni bocciato alla prima superiore, mia madre per punizione mi mandò a lavorare d’estate, apprendista presso un fornaio. Che si chiamava Gigi Meroni (come l’attaccante del Torino morto in un incidente, ndr) e che mi insegnò a mettere le mani nella farina. La cosa mi piacque molto. Quando mio padre capì che gli infortuni mi avevano rovinato la carriera, mi chiese che cosa volessi fare da grande, io ripensai al pane ed entrai nel settore, grazie al mio ex suocero. Poi ho conosciuto Rocco Princi (imprenditore del pane famoso a Milano, ndr) e andavo a trovarlo, per imparare qualcosa e studiare i suoi negozi. Lui e altre persone mi hanno insegnato che la qualità è la cosa più importante”.

È stato coraggioso a emigrare, l’America è un Paese difficile.

“Sì, coraggio è la parola giusta. Ce n’è voluto tanto, di coraggio. L’America non è per tutti, ho visto tante persone venire qui, provarci e ritornare in Italia. Per me la svolta c’è stata quando ho cominciato a capire e parlare la nuova lingua. È stata Olga, la mia seconda moglie, ad aprirmi gli occhi: 'Rufo, in America, se superi la barriera della comunicazione, ti si apre davanti un mare di possibilità'. E così è stato. Il momento più difficile l’abbiamo vissuto come tutti durante il Covid, ma al terzo-quarto giorno di lockdown ho capito che ce l’avremmo fatta perché gli ordini ripartirono subito. I clienti non ci hanno mai abbandonato”.

AC Milan goalkeeper Sebastiano Rossi, left, and captain Paolo Maldini leave the field after an Italian First Division soccer match against Parma in Milan Sunday, November 28, 1999. Maldini scored the decisive goal, while Rossi saved on a penalty kick as Milan edged Parma 2 - 1. (AP Photo/Carlo Fumagalli)

Parliamo del Milan.

“Sono un cuore rossonero, il Milan rimane una cosa importantissima della mia vita. Ci arrivai ragazzino, con il mito di Franco Baresi, e quando me lo trovai davanti per la prima volta, a 16 anni, restai intimorito e senza parole. Per me è stato il più forte difensore centrale della storia del calcio. Paolo Maldini lo considero il più grande sulla fascia, come terzino”.

Un infortunio di Paolo Maldini le permise di debuttare in Serie A.

“Ai primi di novembre del 1987, Milan-Torino. Paolo si rompe un’arcata sopracciliare in uno scontro. Il dottor Monti dal campo fa il gesto del cambio. Sacchi si volta verso di me: 'Entra tu e stai a sinistra'. Seduto in panchina, ero incredulo, ho avuto un attimo di sbandamento. Ero un ragazzo e gli 80mila di San Siro guardavano tutti me… Poi è andata”.

Ariedo Braida. LaPresse

E dopo?

“Il Milan in difesa aveva Franco Baresi, Tassotti, Paolo Maldini, Costacurta, Filippo Galli… Quali spazi potevo avere? Ariedo Braida, il ds, puntava su di me, gli devo tanto, ma, con quella concorrenza, non poteva che mandarmi in giro, a fare esperienza. Ho cominciato però a infortunarmi alle ginocchia, specie al sinistro. Non dimenticherò mai la seconda operazione, a Lione, perché mi telefonò il presidente, Silvio Berlusconi in persona, e mi disse delle bellissime parole di incoraggiamento. Ci teneva che recuperassi, credeva in me per il futuro: ricordo di aver pianto. Dai problemi alla cartilagine del ginocchio sinistro non mi sono più ripreso. C’era un effetto cascata, correvo male e mi venne la pubalgia. Smisi a 25 anni. Non ho più fatto sport. Quando ritorno in Italia, vado a Bologna dal dottor Nanni (il medico de Bologna, altra squadra in cui Verga ha giocato, ndr) per fare le infiltrazioni che tengono a bada i dolori”.

 PRESENTATO "PAOLO MALDINI - IL FILM". Il difensore del Milan, Paolo Maldini (S) con il papà Cesare, posano per una foto a margine della conferenza stampa di presentazione del film "Polo Maldini - Il Film", oggi a Milano. 
MATTEO BAZZI - ANSA - KRZ

Ha fatto in tempo a vincere un Europeo Under 21.

“Nel 1992, con Cesare Maldini allenatore, un’altra persona alla quale devo tantissimo. E devo ringraziare anche Dino Zoff, alla Lazio, per me è stato importante”.

Ha dei rimpianti?

“Per il calcio sì, per il resto no. Penso che, senza infortuni, avrei fatto una carriera discreta. Sacchi al Milan mi faceva allenare con i centrocampisti: Ancelotti, Donadoni, Evani, poi Rijkaard… Ecco, a quel livello non sarei arrivato, ma credo che in Serie A sarei potuto stare”.

L’anno prossimo, il Mondiale si giocherà anche negli Usa.

“Spero con tutto il cuore che Rino Gattuso ce la faccia a qualificare gli azzurri. Nel caso, se riuscirò, andrò a vedere almeno una partita”.

Il Milan di oggi?

“Non pensavo che Modric a 40 anni avrebbe giocato al top come negli anni al Real Madrid. Fa cose mostruose perché è un giocatore di un’intelligenza mostruosa”.

Segue gli sport americani?

“Il basket Nba. Atleti pazzeschi: giocano tantissimo, fanno trasferte con ore e ore di volo, eppure sono sempre sul pezzo. Non so come facciano”.

Verga, pensa mai di rientrare in Italia?

“Tra primo e secondo matrimonio, ho quattro figli. La più grande fa l’avvocato a Milano, ma due sono nati qui, negli Stati Uniti, e sono cittadini americani. Io sto bene in California e sto bene in Italia, quando ci torno. Non so che cosa sarà del mio futuro. Ora devo accompagnare i figli americani nei loro percorsi americani”.

Un’ultima cosa: perché si chiama Rufo?

“Perché mio papà voleva un bambino con i capelli rossi e rufus in latino vuol dire rosso”.

Ma lei era biondo, non rosso.

"Lo so, ma mi ha chiamato Rufo lo stesso. Da piccolo non mi piaceva perché mi prendevano in giro. Oggi sono contento di essere Rufo. Non è un un nome unico, ma quasi. Gli americani lo pronunciano bene, senza problemi”.

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