
Perché alcuni giovani confondono l’amore con il controllo? Il prof. Aldo Grauso analizza le radici del bisogno di possesso in adolescenza
Daniela Cursi Masella
17 giugno - 18:42 - MILANO
L’allarme degli esperti è univoco: accade troppo spesso che molte relazioni affettive giovanili siano dominate da emozioni che rimandano al possesso e al controllo. Se, come dicono, il bisogno è quello di sentirsi al sicuro, viene da chiedersi da dove nasca questa necessità e, soprattutto, dove possa portare. Ci rivolgiamo al prof. Aldo Grauso docente di Psicologia dello Sport presso Unicusano, direttore del Master sui disturbi del neurosviluppo in ottica biopsicosociale e coordinatore del tavolo tecnico sul bullismo promosso da Roma Capitale in sinergia con il MIM. Obiettivo: identificare le radici di queste modalità relazionali che, di fronte al fallimento di un rapporto, decollano dalla fantasia di possesso alla fantasia di distruzione.
Il possesso è sempre distruttivo e violento?
"Il possesso, inteso come il bisogno di controllare e vincolare l'altro a sé, può essere considerato una neo-emozione. Non nasce da un'emozione "primaria" come la gioia o la paura, ma si sviluppa attraverso l'interazione complessa di insicurezze personali, aspettative sociali distorte e la facilità di controllo offerta dalla tecnologia, manifestandosi in forme di ansia da perdita e gelosia ossessiva. Il possesso, di per sé, non è sempre e solo distruttivo o violento. In psicologia, un certo grado di "possesso" o attaccamento è naturale e sano nelle relazioni umane. Pensiamo all'affetto che si prova per una persona cara, al desiderio di proteggerla o di passare del tempo con lei. Tuttavia, quando il possesso si trasforma in un bisogno di controllo eccessivo, gelosia patologica, o la percezione dell'altro come un "oggetto" di propria proprietà, allora diventa distruttivo e potenzialmente violento. È il limite tra l'affetto e la pretesa, tra la cura e il controllo, a determinare la sua natura".
Quali forme può assumere la violenza, psicologica o fisica?
"La violenza legata al possesso può assumere diverse forme, sia psicologiche che fisiche. Quella fisica è più evidente e include qualsiasi atto che causi danno corporeo. La violenza psicologica è spesso più subdola e difficile da riconoscere, ma può lasciare cicatrici profonde". Include comportamenti come:
- Controllo: tentare di controllare ogni aspetto della vita dell'altro, dalle amicizie agli spostamenti, fino all’abbigliamento.
- Isolamento: allontanare la persona da amici e familiari per renderla dipendente dal partner.
- Manipolazione: usare sensi di colpa, ricatti emotivi o bugie per ottenere ciò che si vuole.
- Svalutazione: criticare costantemente, umiliare o sminuire l'altro, minando la sua autostima.
- Minacce: minacciare di farsi del male, di fare del male a terzi, o di rovinare la reputazione della persona.
- Stalking: persecuzione continua, pedinamento, controllo tramite messaggi o chiamate insistenti".
La violenza può essere anche autodistruttiva?
"Assolutamente sì. La violenza, specialmente quella psicologica e quella che nasce da un profondo senso di frustrazione e impotenza, può rivoltarsi contro chi la esercita, diventando autodistruttiva. Questo si manifesta in diversi modi:
- Senso di colpa e vergogna: anche se inizialmente possono essere negati, spesso emergono, minando il benessere psicologico dell'aggressore.
- Isolamento sociale: il comportamento violento allontana le persone, portando a solitudine e difficoltà relazionali.
- Problemi di salute mentale: ansia, depressione, disturbi del sonno e in alcuni casi anche disturbi alimentari o dipendenze possono svilupparsi come conseguenza della violenza agita.
- Conseguenze legali: la violenza fisica può portare a denunce, processi e pene detentive.
- Danno all'immagine di sé: l'individuo può sviluppare una visione negativa di sé stesso, aumentando la rabbia e la frustrazione".
Da dove trae origine questa modalità possessiva?
"La modalità possessiva affonda le sue radici in un complesso intreccio di fattori psicologici e sociali. Tra i principali possiamo citare:
- Insicurezza e bassa autostima: spesso, chi è possessivo ha una scarsa fiducia in sé stesso e teme l'abbandono. Il controllo sull'altro diventa un modo per compensare queste insicurezze.
- Esperienze infantili: relazioni disfunzionali in famiglia, modelli genitoriali controllanti o abusanti, o esperienze di abbandono possono contribuire allo sviluppo di schemi possessivi.
- Paura dell'abbandono: la convinzione profonda di non essere amabili o che l'altro possa andarsene da un momento all'altro spinge a cercare di "legare" l'altro a sé.
- Mancanza di fiducia: la difficoltà a fidarsi degli altri, spesso derivante da delusioni passate, può portare a comportamenti di controllo eccessivo.
- Modelli culturali: l'idea che l'amore implichi possesso o sacrificio può essere veicolata da messaggi culturali (film, canzoni, etc.) che idealizzano relazioni disfunzionali".
Quali sono i fattori esterni che determinano, oggi, una crescita esponenziale di violenze fisiche o psicologiche ai danni di chi ha messo fine ad una relazione?
"Oggi assistiamo a una crescita preoccupante di violenze determinate dalla fine id una relazione. Quasi sempre a danno di donne. È vero che la precarietà economica e sociale può aumentare la frustrazione e il senso di impotenza: fattori che, in individui predisposti, possono esacerbare comportamenti violenti e di controllo, fino a culminare in atti estremi. Quindi sotto forma di provocazione una donna al primo appuntamento dovrebbe forse chiedere immediatamente “ di cosa ti occupi” e verificare immediatamente quanto sia realmente occupato in quello che dichiara. In caso la risposta o la ricerca dimostri il contrario, forse sarebbe meglio non dare più un secondo appuntamento. Questa provocazione nasce dal fatto che indubbiamente una persona pienamente occupata nella sua vita, e centrata sui propri obiettivi, ha, per sua natura psichica, molto più da perdere in caso di rottura del rapporto intimo nei confronti di chi invece, essendo nella condizione opposta, potrebbe maggiormente accettare la sconfitta come perdita solo di uno dei suoi tanti traguardi nella vita. Ovviamente diversi fattori esterni contribuiscono a questo fenomeno:
- Digitalizzazione e social media: la facilità con cui si può controllare, perseguitare o diffamare una persona attraverso i social media e i dispositivi digitali ha reso più accessibili e persistenti le forme di violenza psicologica e stalking. Le ex relazioni possono rimanere "connesse" anche dopo la rottura.
- Cultura del possesso e della pretesa: nonostante i progressi, persiste una cultura che, in alcuni contesti, ancora fatica a riconoscere l'autonomia individuale e che promuove l'idea che l'altro sia una proprietà, specialmente in ambito sentimentale.
- Mancanza di educazione emotiva: la scarsa educazione all'affettività e al rispetto nelle scuole e in famiglia lascia i giovani impreparati a gestire le delusioni amorose e le rotture in modo sano.
- Pressioni sociali e aspettative: le pressioni per mantenere un'immagine "perfetta" o per non "fallire" in una relazione possono generare frustrazione e rabbia quando la relazione finisce.
- Esposizione alla violenza: l'esposizione, anche indiretta, a modelli di violenza (nei media, nella vita reale) può normalizzare certi comportamenti aggressivi.
- Difficoltà economiche e sociali: situazioni di precarietà possono aumentare lo stress e la frustrazione, rendendo le persone più inclini a reagire in modo aggressivo alle difficoltà relazionali".

Si può fare fronte comune per aiutare i giovani a trovare la strada della relazione funzionale e rispettosa?
"Assolutamente sì, è fondamentale fare fronte comune per aiutare i giovani a trovare la strada della relazione funzionale e rispettosa. Aiutare i giovani a costruire relazioni sane non è solo un compito degli esperti, ma una responsabilità collettiva che coinvolge la famiglia, la scuola, le istituzioni e l'intera società. Solo così potremo sperare di veder crescere una generazione più consapevole e rispettosa nelle sue interazioni affettive. Questo richiede un impegno su più livelli: in primis con l'educazione all'emotività e all’affettività. Nelle scuole, fin dalla tenera età, è cruciale insegnare l'importanza del consenso, del rispetto delle differenze, della comunicazione efficace e della gestione dei conflitti in modo costruttivo. Iniziare questo processo alle scuole superiore non ha senso perché le aree del cervello legate al pensiero sono ormai già in via di definitivo sviluppo. Servono poi delle vere e proprie campagne di sensibilizzazione che smontino i miti sull'amore romantico tossico e che promuovano modelli di relazione sani e paritari. Occorre cominciare ad indirizzarsi verso piani che prevedano, da una parte, percorsi di aiuto psicologico gratuiti o accessibili per i giovani che faticano a gestire le emozioni legate alle relazioni e, dall'altra, un supporto legale per le vittime di violenza. È importante educare i genitori a riconoscere i segnali di allarme e fare tutto il possibile per promuovere un ambiente familiare in cui il rispetto e l'autonomia siano valori centrali. Concludo con i media, augurandomi che comincino a proporre modelli di relazione più realistici e meno tossici. E mettere dunque fine alla cultura del “bello e dannato”.