Inzaghi non è Mourinho: l'accordo con gli arabi e quei dubbi sulla finale

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I giocatori dell’Inter quanto sono stati distratti? E il tecnico ha mantenuto la concentrazione? Nel 2010 andò diversamente..

Arianna Ravelli

Giornalista

17 giugno - 22:15 - MILANO

Lautaro Martinez, mentre cerca di voltare pagina e trovare nuovi stimoli sotto il sole americano, va ripetendo che ancora non riesce a spiegarsi da dove sia uscito un ko come quello che ha vissuto in finale di Champions. È chiaro che una tale disfatta si compone di molte ragioni, dalla tattica alla condizione fisica — tra cui non può esserci l’improvvisa inadeguatezza di una rosa che aveva già battuto Bayern e Barcellona —, però un pezzetto di quelle ragioni lo si può ritrovare nelle parole che ha pronunciato l’ad dell’Al-Hilal, Esteve Calzada, intervistato alla Bbc, illustrando il “lungo lavoro” che ha portato a raggiungere l’accordo con Simone Inzaghi prima, e sottolineo prima, della finale con il Psg. 

"La decisione era stata presa, ma non c’era la firma perché per rispetto ci ha chiesto di aspettare", ha rivelato il dirigente della squadra saudita. Ora, come sanno tutti coloro che si sono trovati ad affrontare il dilemma di un possibile cambio di vita, i giorni della scelta sono pieni di dubbi, ripensamenti, estenuanti considerazioni dei pro e dei contro, confronti con i familiari, magari qualche notte insonne. Che sia questa la disposizione d’animo migliore con cui preparare una finale di Champions (e forse anche le settimane precedenti, visto il “lungo lavoro” di cui parla Calzada: sarà stata questa una delle ragioni del crescente nervosismo di Inzaghi?) con la dovuta concentrazione è da mettere quanto meno in dubbio. E da qui discendono a cascata una serie di altri interrogativi: la squadra lo sapeva? E la società era stata informata? Perché sempre come sanno quelli che si sono trovati a considerare di cambiare lavoro, la comunicazione del passaggio va gestita con estrema delicatezza: il primo che va informato, per lealtà e correttezza, è il proprio capo. E invece Beppe Marotta si presenta all’incontro con Inzaghi con pronta una proposta di rinnovo senza sapere dell’accordo già raggiunto dal suo allenatore con gli arabi. Il cui video dell’annuncio arriva infatti poche ore dopo. Da qui discende la delusione e l’imbarazzo che emergevano ieri dentro l’Inter. 

Ma, al di là delle forme, veniamo alla sostanza: i giocatori quanto e cosa sapevano? Quanto sono stati distratti da pensieri extra nei giorni più importanti della loro carriera? E ancora: è vero che anche Bastoni e Barella erano stati raggiunti da proposte multi-milionarie arabe? Interrogativi destinati probabilmente a restare senza risposta. Non ci sono moralismi qui, non si sta sostenendo che Inzaghi non doveva ascoltare o anche accettare una proposta così allettante sul piano economico, quel che si contesta è stata la capacità di gestire la situazione. 

Nel 2010, José Mourinho riuscì nell’impresa alla perfezione: con in tasca l’accordo con il Real Madrid (che aveva già comunicato a Massimo Moratti), fu in grado di proteggere il gruppo, anzi usò la circostanza per compattarlo e spronarlo ancora di più, convincendo tutti che c’era un lieto fine da scrivere assieme. La conclusione fu un trofeo alzato e l’immagine che è rimasta negli occhi di tutti, l’abbraccio tra le lacrime dell’interista più appassionato, Marco Materazzi, allo stesso Mou che stava per fare l’indicibile, cioè non salire sul pullman della squadra per andarsene invece sulla macchina di Florentino Perez. 

Che lo stesso non sia riuscito a Inzaghi appare evidente: di nuovo, i motivi per cui quell’Inter è scesa in campo a Monaco così svuotata saranno molti, ma è difficile sostenere che il suo non fosse un gruppo disorientato, di sicuro tutto meno che compattato. Siamo nell’eccellenza del calcio mondiale: tutti gli allenatori, a maggior ragione oggi aiutati da tecnologia e staff iper-specializzati, sono (chi più, chi meno), in grado di leggere le partite e decidere come mettere in campo la squadra. Sono spesso la personalità, la capacità di gestire il gruppo e capirne la psicologia a fare la differenza. Ed è probabilmente quello che è successo in questo caso.

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