Pontoni, il figlio dell'attaccante idolo del Papa: "Ricordava a memoria i gol più belli di mio papà"

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René, classe 1920, era centravanti del San Lorenzo, club per cui tifava Bergoglio, e della Nazionale argentina. Il figlio del calciatore racconta i contenuti calcistici di una lunga chiacchierata che aveva avuto col pontefice a Santa Marta: "Gli ho portato un pallone firmato da papà ma lui ce lo ha lasciato, dicendo che..."

Luca Bianchin

Giornalista

26 aprile - 10:13 - ROMA

Lo chiamavano "Huevo", perché papà Hermenegildo era morto quando lui aveva 7 anni e, si sa come andava in queste situazioni, anche i bambini dovevano dare una mano. René Pontoni, classe 1920, si era messo a vendere uova, poi era diventato centravanti del San Lorenzo. Un centravanti tecnico e pesante: 80 chili ("sovrappeso di 30", scrive qualcun altro) e questo in campo non aiutava. Quando dimagrì, diventò l’attaccante della nazionale argentina e il giocatore preferito di un bambino, Jorge Bergoglio, che sarebbe diventato Papa. Un giorno del 2013, davanti alle squadre di Italia e Argentina che avrebbero giocato un’amichevole dedicata a lui, Francesco tornò Jorge e disse: "Voglio vedere se qualcuno segnerà un gol come quello di Pontoni". Un’altra volta, al presidente del San Lorenzo, confessò: "Mi ricordo un gol di Pontoni. Tac, tac, tac, gol!". Stop di petto, pallonetto su due difensori e tiro. Un giornalista italiano, Lorenzo Galliani, su Pontoni ha scritto un libro e un altro René, il figlio di “Huevo”, porta avanti La Guitarrita, il ristorante fondato dal campione, "la mejor pizza a la piedra de Buenos Aires". O almeno, loro scrivono così. 

René, quanto forte è stato il rapporto con Papa Francesco? 

"È andata così. Un ammiratore di mio padre, qui in Argentina, un giorno mi dice che Bergoglio lo ha citato pubblicamente, allora io gli invio una lettera attraverso la federazione argentina. Passano due mesi e mi chiamano dalla Nunziatura apostolica, poi mi arriva una carta manoscritta in cui il Papa dice di volermi conoscere. Il primo giugno 2015 l’ho incontrato a Santa Marta, con mia moglie, mia figlia e mio nipote". 

Che cosa vi siete detti? 

"Francesco ricordava quel famoso gol del 1946 ed è stata molto carino. Abbiamo parlato per 50 minuti. Io gli ho portato un pallone firmato da papà ma lui ce lo ha lasciato, dicendo che era giusto lo tenessimo noi. Vuole sapere la cosa più clamorosa? Lo abbiamo perso in taxi poco dopo".

La cosa più curiosa raccontata da Francesco su quelle partite degli anni Quaranta? 

"Ci ha detto che la sua famiglia aveva l’abitudine, nei giorni delle partite, di portare delle lumache in un ristorante e di mangiarle prima di andare allo stadio. Questo non si fa più". 

E lei, non è diventato calciatore? 

"Ho giocato nelle giovanili del Boca, quando avevo 18 anni. Mio papà però voleva facessi altro, così sono diventato avvocato, poi notaio. Un notaio sportivo: ho 74 anni e fino ai 70 ho giocato a calcio. Diciamo che alla fine, gli altri correvano e io ci mettevo la saggezza calcistica… Papà sarebbe stato contento".

Che uomo era? 

"Una persona eccellente, gentile, molto amato da compagni e amici fino alla morte, arrivata nel 1983 per sclerosi multipla. Religiosamente non era molto praticante però era molto umile e questo lo lega a Papà Francesco. Avevano etica. Una volta un compagno di squadra colpì la mano di un avversario e creò così un’occasione da gol. Mio papà non calciò in porta, fermò la palla e andò a riprendere il compagno". 

Che cosa le resta di papà, oltre ai ricordi? 

"Da giovane avevo alcune sue maglie biancocelesti, senza numero sulla schiena. Un giorno andai a un torneo con gli amici e le usammo, poi ognuno tornò a casa con la sua. Col tempo, compresi: erano le maglie delle sue presenze in nazionale argentina. Un disastro". 

Almeno, voi Pontoni, andate sempre a vedere il San Lorenzo? 

"Veramente la mia famiglia è tutta del Racing…".

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