Pogacar e Vingegaard, i duellanti. Solo il giallo li unisce

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Così forti, così diversi, così vicini, Tadej e Jonas, i vincitori delle ultime 5 edizioni, si sfidano ancora. Il cannibale sloveno pedala per il quarto alloro, mail danese è stato la sua kryptonite e sa come batterlo

Francesco Ceniti

Giornalista

5 luglio - 09:32 - MILANO

Come il giorno e la notte. Come il mare e la montagna. Come il bianco e nero. Come Platone a Aristotele. Come i Beatles e i Rolling Stones. Come Cristiano Ronaldo e Messi. Insomma, così diversi nell’essere fuoriclasse, ma così vicini. Una legge della fisica (elaborata dal francese Charles Augustin de Coulomb) lo spiega benissimo: due poli opposti si attraggono. In modo inesorabile, senza possibilità di sfuggire al loro destino. E il destino di Tadej Pogacar e Jonathan Vingegaard è quello di sfidarsi all’ultimo respiro, in un duello al sole che ha infiammato le ultime stagioni. 

Oggi, partenza da Lille, si ripeterà il “miracolo”: un ring speciale, itinerante, chiamato Tour de France. Le rivalità, da sempre, sono il sale dello sport. La sfida diventa calamita anche per chi non ha il cuore in subbuglio per uno dei contendenti. Il ciclismo, poi, da sempre si esalta quando ci sono due protagonisti capaci di darsele di santa ragione, cercando di colpire più forte, attaccando anche quando tutto sembra finito, nel tentativo di ribaltare il verdetto. E via così, fino all’ultima pedalata. Pogacar e Vingegaard. Vingegaard e Pogacar. Così diversi, ma così uniti da quella maglia gialla che vogliono portare a casa, simbolo del successo. I numeri parlano, i numeri dicono 3-2 per Tadej, ma nel 2020 (anno di grazia che segna l’avvento del ciclone Pogacar) Jonas non aveva preso parte alla contesa. Ecco perché sarebbe più giusto parlare di un pareggio. Insomma, il Tour 2025 farà pendere la bilancia da una parte. I duellanti lo sanno benissimo e si sono preparati all’appuntamento in modo maniacale. Entrambi hanno riti e programmi definiti. Diversi anche in questo. 

IL NUOVO CANNIBALE

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Pogacar, corsa dopo corsa, sta (ri)scrivendo la storia, raggiungendo e superando i miti del ciclismo. Sa vincere su quasi tutti i terreni, sa vincere i grandi giri e le classiche monumento, sa vincere sulle lunghe salite, su quelle brevi ma affilate come coltelli, sullo sterrato, in volate ristrette e ha dimostrato di poterlo fare anche sul pavé. Insomma, una specie di alieno in bicicletta. A volte fin troppo alieno anche per il suo talento, chiamato a “resistere” ad attacchi fuori da ogni logica che rimandano a un’altra epoca, quando i corridori avevano i copertoni a tracolla e i distacchi erano così enormi da costringere la radio a mandare un “intermezzo musicale” nell’attesa del secondo classificato (ogni riferimento alla Milano-Sanremo del 1946, stravinta da Fausto Coppi, è voluto). Pogacar è questo. E piace alla gente proprio per questo. Difficile non amarlo, nonostante per tutti sia il nuovo Cannibale, l’erede di Eddy Merckx, uno che ai suoi tempi non stava molto simpatico neppure ai belgi. Tadej giusto un anno fa ha messo un altro tassello in questa rincorsa all’immensità: ha centrato la doppietta Giro-Tour, entrando in un club ristretto composto da soli 8 corridori. Un club dove si parla anche italiano: Fausto Coppi nel 1949 fu il primo a riuscirci, poi arrivarono Jacques Anquetil (1964), Eddy Merckx (tre volte: 1970, 1972 e 1974), Bernard Hinault (1982 e 1985), Stephen Roche (1987), Miguel Indurain (1992 e 1993) e infine Marco Pantani (1998). Ecco, Pogacar nel 2024 ha chiuso un buco che durava da 24 anni. L’ha fatto dominando prima il Giro (in rosa fin dalla seconda tappa) e poi il Tour italiano, con la Grande Partenza da Firenze e il successivo passaggio da Cesenatico per omaggiare proprio il Pirata, un Van Gogh con bandana che regalava emozioni a ogni scatto in salita. Lo sloveno, con le sue rasoiate pazzesche, piazzate quando le pendenze si fanno cattive e mordono i polpacci, è riuscito nell’ennesima impresa: ha catturato anche i tifosi più nostalgici di Pantani. “Sì, ricorda Marco quando semina i rivali...”. Detta fino a un anno fa, sarebbe stata considerata al pari di una bestemmia. Già, per Vingegaard (scalatore puro, molto più dello sloveno) una cosa simile non potrà mai accadere. Questione di stile, questione di empatia. 

IL DUELLO INFINITO

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Eppure c’è stato un periodo, durato due anni, in cui Jonas era per Pogacar una sorte di kryptonite, qualcosa capace di mandarlo in tilt, tanto da relegarlo al ruolo dello sconfitto. E non sconfitto in una gara qualsiasi, ma proprio al Tour de France. Le avvisaglie che qualcosa d’importante stava per accadere c’erano state già nel 2021. Era il 7 luglio, giornata caldissima e cerchiata dal gruppo come terribile: doppia ascesa del Mont Ventoux. In giallo il re sloveno che l’anno prima aveva conquistato il suo primo Tour in faccia alla corazzata Jumbo-Visma, ribaltata alla penultima tappa, nella cronoscalata verso La Planche des Belles Filles, con l’altro sloveno (Roglic) ribattezzato in un baleno da Primoz a Secondoz. Un mese dopo quello sconquasso (era ottobre, calendari ciclistici stravolti dal Covid), Vingegaard fu mandato dalla Jumbo alla Vuelta, come gregario di Roglic: aiutò il suo capitano a dimenticare la batosta in giallo, scortandolo fino a Madrid dove lo sloveno ritornò Primoz con la maglia rossa. Ma quel danese pallido più della luna era destinato ad altri ruoli.

Nove mesi dopo, le gerarchie cambiano: Roglic si ritira dal Tour alla nona tappa, la Visma promuove capitano proprio Jonas. E lui ripaga la fiducia: mette Pogacar in difficoltà, lo stacca sul Ventoux nel giorno del trionfo di Van Aert. Certo, il Tour lo rivince ancora il Piccolo Principe sloveno, ma la rivoluzione è nell’aria. E va in scena nel 2022. Si parte dalla Danimarca, un segnale preciso. Ma Pogacar non ci bada, domina la prima parte, si prende tappa e maglia a Longwy. Il giorno dopo concede il bis a La Planche des Belles Filles, tornando a trionfare sul luogo dove aveva annientato Roglic e la Visma. Ma il Tour non è finito e Vingegaard sta solo aspettando il momento giusto. Il 13 luglio accade l’impensabile: Pogacar crolla sotto i colpi del danese diafano, al traguardo di Serre Chevalier deve cedergli la maglia gialla e non riesce più a riprendersela, nonostante attacchi continui, persino in discesa, con tanto di caduta e l’immagine iconica dei duellanti mano nella mano, dopo il gesto da fair play di Vingegaard, fermo ad attendere Tadej per sincerarsi delle sue condizioni dopo la scivolata. A Parigi, Jonas alza le braccia al cielo. Non è una parentesi, ma l’inizio di un nuovo regno. Il danese si concentra solo sul Tour, non insegue altra gloria nelle gare di un giorno, nelle classiche. Non fa come il rivale, centellina le sue apparizioni e accumula un distacco incolmabile nella classifica delle simpatie. Ma questo minimalismo è anche la sua forza. 

E lo dimostra nel 2023, quando va in onda un duello da favola: Vingegaard stacca il rivale sui Pirenei alla quinta tappa, ma Tadej reagisce. Il giorno dopo vince mettendo in difficoltà il danese, secondo e nuovo leader del Tour. Poi è un susseguirsi di colpi di scena, con lo sloveno che arriva fino a nove secondi dalla maglia gialla. Il colpo del ko, però, lo mette a segno il danese: crono fenomenale a Combloux, sloveno staccato di 1’38’’. Passano solo 24 ore: si sale a Courchevel e le conseguenze del colpo subito portano al crollo definitivo di Pogacar. Il bis è servito, Vingegaard ancora re a Parigi. 

Il tris nel 2024 sembra la cosa più ovvia, ma il destino ha un’altra idea. Aspetta Jonas in una curva al Giro dei Paesi Baschi, la caduta è drammatica: dodici giorni passati in ospedale, settimane per recuperare dalla rottura di sette costole, sterno e clavicola, per non parlare dei polmoni perforati. Il ritorno in bici sembra già un miracolo, la partecipazione al Tour qualcosa di più. Ma il danese li compie entrambi. E per qualche tappa mette paura a Pogacar, gli resta in scia. L’illusione dura poco, il duello del 2023 non si ripete. Tadej fa doppietta senza soffrire e mette la bilancia delle sfide in pari. 

LA RESA DEI CONTI

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Da oggi si riparte, in palio molto più di una maglia da leader. Pogacar e Vingegaard, così diversi, hanno in testa lo stesso obiettivo: staccare il rivale, dimostrare di essere il migliore. Al Delfinato, antipasto del Tour, le gambe dello sloveno giravano più veloci di quelle del danese. Ma le apparenze possono ingannare, meglio godersi tappa dopo tappa e aspettare. La soluzione del giallo ci sarà il 27 luglio: Platone o Aristotele? Beatles o Rolling Stones? Pogacar o Vingegaard? Puntate aperte, fate il vostro gioco...

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