Nanoparticelle che non trasportano molecole terapeutiche ma che sono esse stesse il trattamento hanno fatto regredire la malattia di Alzheimer nei topi: invece di cercare di curare i neuroni, agiscono come interruttori che resettano il sistema vascolare del cervello, permettendogli di riguadagnare la sua capacità di eliminare proteine e altre molecole indesiderate che si accumulano nelle malattie neurodegenerative come Alzheimer e demenza. Il risultato, pubblicato sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, si deve al gruppo di ricercatori guidato dall'Istituto di Bioingegneria della Catalogna (Ibec) spagnolo e dal West China Hospital della Sichuan University.
Il cervello umano contiene circa un miliardo di capillari, che svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento della sua salute, ed è circondato dalla barriera emato-encefalica, il filtro che impedisce l'ingresso di sostanze pericolose come batteri o tossine.
I ricercatori coordinati dall'italiano Giuseppe Battaglia dell'Ibec hanno usato topi geneticamente modificati per produrre maggiori quantità della proteina beta-amiloide e sviluppare così un declino cognitivo simile a quello dell'Alzheimer, e gli hanno somministrato tre dosi di nanoparticelle. Dopo 6 mesi dal trattamento, un animale di 18 mesi, che equivalgono a circa 90 anni di un essere umano, aveva recuperato del tutto il comportamento di un topo sano.
"L'effetto a lungo termine deriva dal ripristino della vascolarizzazione cerebrale", afferma Battaglia. "Pensiamo che funzioni con un meccanismo a cascata: quando si accumulano specie tossiche come la beta-amiloide la malattia progredisce. Ma una volta che il sistema vascolare è di nuovo in grado di funzionare - sottolinea il ricercatore - inizia a eliminare la beta-amiloide e altre molecole dannose, consentendo all'intero sistema di ritrovare il suo equilibrio".
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