Monza celebra 75 GP d'Italia: la storia infinita della Formula 1 tra successi, passione e velocità

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Storia del Tempio della velocità, dove si corre per la 75a volta il GP d’Italia. Un circuito unico che ha trasformato la F.1 in leggenda, tra grandi passioni (per lo più rosso Ferrari) e tragedie. Vincere qui può salvare una stagione

Arianna Ravelli

Giornalista

6 settembre - 00:15 - MILANO

Non mancarono, anche nel 1922, le proteste ambientaliste. Al primo colpo di piccone, scagliato il 26 febbraio dai piloti Felice e Biagio Nazzaro, Vincenzo Lancia, Antonio Ascari e Ferdinando Minoia, seguì subito un arresto del cantiere per “ragioni di valore artistico, monumentale e di conservazione del paesaggio”. D’altronde, eravamo in mezzo a un bosco, un tempo riserva di caccia. E il progetto era quello per “Il Circuito di Milano nel Reale Parco di Monza”, studiato dall’architetto Alfredo Rosselli, portato avanti da Arturo Mercanti, ex combattente, nominato Commissario Generale del Gran Premio d’Italia. Solo che erano altri tempi, quella era la prima pietra del circuito che si sarebbe poi chiamato per sempre “il tempio della velocità” e per vedere completato il terzo impianto permanente al mondo dopo Indianapolis e Brooklands, il più veloce, ça va sans dire, bastarono 110 giorni. Il primo di tanti record. Altro che nuovo stadio di Inter e Milan. 110 giorni, dal 3 maggio - quando tremila contadini abbandonano i campi per lavorare al cantiere e guadagnare come in un anno di coltivazione della terra - al 28 luglio, quando i piloti Pietro Bordino e Felice Nazzaro, accompagnati dal presidente della Fiat, Giovanni Agnelli, alla guida della loro 570, effettuano il primo collaudo di un circuito che doveva servire anche per i test dell’industria automobilistica nascente. L’inaugurazione ufficiale, sotto una pioggia battente, arriverà il 24 agosto.

DEPOSITO D’ARMI

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Nasce il mito di Monza e, 103 anni dopo, passati in un battito di ciglio che ha dentro pezzi di storia d’Italia (il circuito fu deposito di armi per i soldati tedeschi durante la guerra, Monza avanzò una candidatura, non accolta, per ospitare le Olimpiadi del 1960, qui si sono viste spuntare le prime bandiere leghiste) e tutta la storia della F.1 per intero, eccoci qui. Ad aspettare la 75ª edizione (su nessuna pista si è corso di più nel Mondiale, il GP d’Italia si è disputato sempre qui tranne nel 1980, quando si spostò a Imola) di un rito laico che ha visto i suoi adepti accomodarsi sulle prime tribune di legno sotto tende bianco e rosse in onore alla città, fare buchi nelle reti per entrare di soppiatto dal parco, piangere per le tragedie più strazianti, farsi largo nel fango di tanti settembre piovosi, cuocere nei posti prato sotto il solleone, sorprendersi per le vittorie più inaspettate, perdersi sempre e comunque in una travolgente marea rossa. Raccogliere emozioni di F.1 distillate in purezza. Delusione, rabbia, tristezza, malinconia, in un lungo racconto pre Netflix scritto a puntate, una volta all’anno. In ordine sparso, scegliendo da un repertorio personale, le lacrime di Hakkinen che si ritira nel 1999, quelle di Schumacher nel 2000 in conferenza stampa quando raggiunse le vittorie di Senna oppure il suo sorriso pacificato nel 2006 quando annunciò il ritiro felice di lasciare il posto a Massa (siamo tutti d’accordo che il ritorno in Mercedes non è mai avvenuto, no?).

EVENTI E TIFO PER LA FERRARI 

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Voi potete essere tra quelli che si ricordano ancora il trionfo di Alberto Ascari nel 1952 (e, tre anni dopo, la sua morte nel test lontano dai riflettori di una Ferrari, lui che era pilota Lancia: oggi sarebbe impossibile) e la vittoria di Ludovico Scarfiotti nel 1966 - ultimo italiano a tagliare il traguardo per primo nel GP d’Italia -, o essere tra quelli che si commuovono pensando a Senna che si tocca con Schlesser e dà alla Ferrari una doppietta Gerhard Berger-Michele Alboreto pochi giorni dopo la morte di Enzo, 1988, unica gara non vinta dalla McLaren, o essere cresciuti nel lusso del regno Schumacher nei primi anni Duemila, o avere in testa le vittorie più inaspettate come quella di Sebastian Vettel con la Toro Rosso, nel 2008, sotto la pioggia, che lo rese il più giovane vincitore di sempre, o, se siete più attenti, ricordare quel weekend in cui, dalla vicina Cernobbio, Sergio Marchionne chiuse con ineleganza l’era Montezemolo, o infine custodire freschi i ricordi dei trionfi rossi più recenti di Fernando Alonso (2010) e Charles Leclerc (2019 e 2024): in ogni caso, se siete stati là, sapete perché Monza è speciale. E se non ci siete stati qualcosa si intuisce anche dalla tv. Perché Monza è un pellegrinaggio pagano che ha le sue stazioni (la vecchia Sopraelevata oggi Parabolica intitolata ad Alboreto, la Roggia, la variante Ascari, le due curve di Lesmo), che gli appassionati ripetono a memoria come si fa con certe formazioni di calcio di una volta. D’altra parte, se a Silverstone si avverte l’amore puro per le corse, con diversi team che hanno la sede nei dintorni e che si spartiscono i favori degli appassionati, se a Melbourne o a Montreal si gode per un evento collettivo in un clima di caos festoso, se Montecarlo vive dell’assurdità di un ossimoro (missili costretti ad andare piano) e nel suo lusso, in nessuna altra parte del mondo si avvertono una passione e un simile tifo per una sola squadra, come a Monza per la Ferrari.

IL PODIO E L’ONDA ROSSA

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Al di là delle dichiarazioni stereotipate nelle conferenze, non c’è pilota che non venga contagiato da questa atmosfera speciale. E non c’è podio come quello di Monza: sopraelevato, come un palco da rockstar, su una commovente ondata rossa che riempie tutto e (al netto di qualche fischio spiacevole che pur c’è stato) finisce per abbracciare anche i rivali. Il selfie di Fernando Alonso nel 2010, rimasto nella memoria, lo ha in parte ripagato dell’amarezza di non aver mai vinto un Mondiale in Ferrari. Vincere a Monza salva, in parte, anche le stagioni più tristi. Ci sono circuiti che fanno parte del calendario di Formula 1 per ragioni commerciali, geografiche, politiche. E poi c’è Monza. L’essenza della F.1: velocità, imprevedibilità, passione, e, per tanti anni, anche la manifestazione del rischio nella sua forma più violenta. Nel 1961, Wolfgang von Trips era già chiamato Count von Crash per essere sopravvissuto a tanti incidenti, ma sul rettilineo prima della Parabolica non ebbe scampo: si scontrò con Jim Clark e la sua Ferrari prese il volo, distrusse le reti e uccise 15 persone del pubblico. Nel 1970, solo qualche metro più avanti, fu Jochen Rindt che in qualifica, a causa di una rottura al sistema frenante, sollecitato dalla configurazione scarica pensata per Monza, si schiantò contro il guardrail, la ruota si incagliò in una buca, forse scavata dai tifosi per entrare al circuito, s’impennò e lo colpì. Rindt morì in ambulanza; era arrivato a Monza in testa al Mondiale e tale rimase fino alla fine del campionato, unico vincitore postumo della storia della F.1. E poi il 1978, la carambola di vetture che vide coinvolti al via anche l’incolpevole Riccardo Patrese e Vittorio Brambilla (che rimase in coma qualche giorno), il rogo, un mix di imperizia e inefficienza dei soccorsi, che causarono la morte dello svedese Ronnie Peterson (già tre volte vincitore a Monza, per lui George Harrison scrisse Faster) avvenuta per un’embolia il giorno dopo quando era ricoverato al Niguarda e sembrava averla sfangata. Erano tempi così, terribili. Le conseguenze degli schianti rendevano tragicamente plastico il concetto di velocità. Per guidare tra queste (poche) curve, le scuderie hanno sempre allestito monoposto speciali, con il carico aerodinamico più basso dell’anno, una specifica che stava agli antipodi rispetto a Montecarlo. Le restrizioni delle nuove regole, con il budget cap, costringono ad accontentarsi di compromessi che possano funzionare su piste diverse, ma il feeling dei piloti non è cambiato tanto.

IL CIRCUITO PIù VELOCE

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Tempio della velocità, si diceva: qua - correva l’anno 2003, alla guida della Ferrari c’era Michael Schumacher -, si è registrata la velocità media più alta di sempre raggiunta in gara (247,586 km/h), sempre qui si è corso il giro più veloce in qualifica (264,362 km/h), era il 2020, sulla Mercedes c’era un certo Lewis Hamilton che quest’anno sperimenterà cosa significa essere un pilota Ferrari a Monza. Se c’è un posto giusto per cambiare il corso della sua storia in rosso, fin qui deludente, è questo. Ci ha già vinto cinque volte, d’altra parte. Pensate che foto dal podio.

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