Meritava di più, ed è ancora in tempo per dimostrarlo: bentornato "Don Adoni"

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Roberto Donadoni torna in panchina dopo 5 anni lontano dai campi: troverà un mondo molto diverso da quello che aveva lasciato, ma in cui può ancora dimostrare la sua qualità

Luigi Garlando

Giornalista

6 novembre 2025 (modifica alle 07:32) - MILANO

Lo Spezia è andato a cercarlo nell’emergenza, come Roma con Cincinnato. Il dittatore stava arando i campi, Roberto Donadoni giocando a golf. Domani l’Immortale milanista torna in panchina dopo 5 anni. Che sono tanti: un intero ciclo di liceo, in 5 anni hanno tirato su il Guggenheim di Bilbao. Ultima panchina in Cina (Shenzen), agosto 2020. Donadoni esce dalla foresta come il famoso giapponese e trova un mondo nuovo, vedrà arbitri che disegnano quadrati nell’aria. Perché lo hanno dimenticato? Non è vecchio, 5 anni meno di Gasp. Non è scarso. Allenava già sotto Sacchi che gli chiedeva di governare tempi e distanze dell’attacco immortale. Gullit insisteva: "Mister, voglio fare il 10". Arrigo rispondeva: "Stai largo e corri. Il 10 è Roberto". 

Lui e Ancelotti, maestri di connessioni. Da mister, ha fatto bene nel Livorno di Lucarelli capocannoniere, ha portato in Europa un Parma quasi fallito, ha ereditato l’Italia mondiale (2006). L’ha qualificata all’Europeo, sconfitto nei quarti solo ai rigori da una Spagna che avrebbe vinto torneo e Mondiale. Era bravo, non bastava. Nel circo isterico dei Mou e dei baby-allenatori pescati a basso costo dalle giovanili, come fossero tutti Guardiola, l’elegante normalità di Roberto insospettiva. Nella riservatezza di osso bergamasco e nella voce sottile leggevano un quieto vivere da curato di campagna, poco incline al comando. Sbagliavano. Lo chiamavano Don Adoni. Meritava di più. E’ ancora in tempo. Riparte dal fondo della Serie B, tipo Fantozzi riassunto come parafulmine. Chi lo ha visto dribblare, sa che è tornato a casa: nel Golfo dei Poeti.

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