Meloni vince sulle banche e si intesta la manovra

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   La mossa è a sorpresa, talmente tanto che le sedie vengono sistemate una manciata di secondi prima che lei arrivi. Giorgia Meloni tra lo stupore generale dei presenti fa il suo ingresso nella sala stampa di Palazzo Chigi - dove non si era sostanzialmente mai vista - per mettere la faccia sulla penultima manovra del suo governo. Una scelta doppiamente inusuale, visto non solo che l'ultima conferenza stampa classica risale a gennaio ma anche che finora, salvo per la prima, non si era presentata dal vivo nemmeno per la altre leggi di bilancio.

    Stavolta c'è sul piatto una misura super pop, come il contributo delle banche per tagliare le tasse e finanziare la sanità, da difendere sia dalle perplessità degli alleati sia dai mal di pancia delle categorie interessate.

    Magari non si tratterà di una manovra alla "Robin Hood", anche perché "lui era di Nottingham", scherza Giancarlo Giorgetti, lasciato dalla premier a rispondere alle domande dei giornalisti perché lei, dopo un paio di risposte, deve scappare.

    È attesa a Padova, ai funerali di Stato dei tre carabinieri morti nel veronese, e lascia la sala insieme ai suoi vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, che seduti accanto a lei poco prima hanno entrambi potuto piantare la loro bandierina. Quella di avere evitato interventi "da Unione Sovietica" sugli istituti di credito, perché "non ci sono tasse sugli extraprofitti", ribadisce il vicepremier azzurro. E quella di poter annunciare un'altra, la quinta, rottamazione delle cartelle, sorride dall'altro lato il leader leghista.
   
"Soddisfazione", "condivisione", sono parole che si rincorrono tra i tre leader del centrodestra, che ci tengono a mettere in mostra, plasticamente, quanto la coalizione sia unita.
    Durante l'approvazione della legge di bilancio, illustrata oralmente dal ministro dell'Economia, nessuno avrebbe sollevato critiche o obiezioni, ma tra i ministri è diffusa la convinzione che questa volta a sorridere siano solo Orazio Schillaci (Salute), Guido Crosetto (Difesa), Elvira Calderone (Lavoro) ed Eugenia Roccella (Famiglia). Dietro le quinte, fino a poche ore prima era andata in scena una trattativa piuttosto tesa, tanto che alla vigilia la premier - intervenuta in prima persona anche nel confronto con le banche - era arrivata a convocare il Consiglio dei ministri ancora prima di sedersi al tavolo con gli alleati, come a dire, "ora basta discutere, si deve chiudere". E nella notte Tajani ha chiamato i ministri di FI per una riunione mattutina a ridosso del Cdm.

    Alla fine la linea Meloni-Giorgetti ha prevalso. Il contributo è un pilastro fondamentale a copertura della manovra e, allo stesso tempo, una misura di "redistribuzione" - per dirla con il ministro dell'Economia - verso chi è più in difficoltà molto ben spendibile, pure in un contesto di magre risorse, nelle future campagne elettorali. Perché è già il 2027 l'orizzonte cui si guarda ai piani alti dell'esecutivo, una volta scavallata la metà della legislatura e a una manciata di giorni dal diventare il terzo governo più longevo della storia repubblicana. Passo dopo passo la premier punta decisamente al record assoluto e ci vuole arrivare con forze tali da prenotarsi per altri cinque anni. Anche questo, avrebbe confidato ai suoi, è uno dei motivi che l'ha convinta a lasciare alla Lega la candidatura del Veneto, per evitare una maretta in casa dell'alleato dagli esiti potenzialmente incontrollabili. Per vincere di nuovo c'è bisogno di alleati in grado di raccogliere consensi che altrimenti non si travaserebbero, in automatico, tutti sul suo partito. Che comunque cercherà di strappare un buon risultato alle prossime regionali, nonostante Luca Zaia capolista in tutte le province.    

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