Lukaku: "Mi avevano dato per morto, ma a Napoli... La lite con Ibra? Non serve chiarire, lui è unico"

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L'attaccante si racconta: "Proviamo a confermarci in campionato e a divertirci in Champions"

Dal nostro inviato Vincenzo D'Angelo

7 agosto - 00:07 - CASTEL DI SANGRO (L'AQUILA)

Ci sono i grandi sportivi e poi ci sono i totem. Quelli a cui basta la presenza per impadronirsi della scena. Romelu Lukaku è uno di questi: negli occhi ha ancora le scorie delle delusioni passate, ma la testa e l’animo sono sempre nel mood giusto. La chiamano mentalità vincente. Quella con cui ha aiutato il Napoli a vincere lo scudetto al primo colpo. 

Lukaku, riavvolgiamo il nastro e torniamo sul pullman scoperto. Se chiude gli occhi, cosa vede?

"Tanta gente che festeggia, sorrisi, la gioia di una città. È stato bellissimo. Non avevo mai vissuto una festa così, un’esperienza unica". 

Tesi confermata: con Conte e Lukaku si vince.

"Abbiamo la stessa mentalità: solo con il lavoro si migliora. Lui ha un’idea calcistica che si adatta alle mie caratteristiche e io, quando sono a casa, cerco apprendere i concetti di gioco che vuole. La nostra relazione ha sempre funzionato, perché sa darmi ogni giorno quegli stimoli per cercare di essere sempre il più forte". 

Antonio è un po’ il suo padre calcistico? 

"Sì, come lo sono stati Roberto Martinez nel Belgio, Koeman all’Everton e Ariel Jacobs all’Anderlecht. Sono loro che mi hanno cambiato la vita". 

Quanto c’è di suo nell’arrivo di De Bruyne?

"Pochissimo. Giusto due chiamate, molto semplici. Gli ho spiegato cosa significa giocare qui, che siamo una squadra che vuole migliorare e confermarsi per l’anno prossimo. Sarà una grande sfida ma a lui piacciono le sfide". 

Conte ha detto: "Chi porta lo scudetto sul petto è per definizione il favorito tra i favoriti". 

"È un nuovo campionato, si parte da zero. Siamo qui per prepararci bene ora, poi vedremo". 

Le differenze tra il Lukaku arrivato all’Inter nel 2019 e quello di oggi? 

"Sono più esperto, sicuro. E faccio tanto lavoro tattico a casa: guardo le squadre avversarie, ho più controllo delle cose che succedono e vedo l’azione prima che arriva. Prima ero più reattivo, più dinamico. La gente può dire che il fisico è cambiato, ma anche adesso, in ogni gara, ci sono due o tre azioni in cui posso fare la differenza partendo da lontano. Però sono più altruista, lo dicono gli assist. Quando sono arrivato in Italia guardavo più a me stesso". 

Napoli è stata la sua rivincita? 

"La gente aveva dei dubbi su di me, ma ero convinto che avremmo fatto qualcosa di speciale". 

E vincere in volata contro l’Inter ha reso tutto più speciale? 

"No, sarebbe stata la stessa cosa pure contro Milan o Juve. È stato speciale il percorso. Abbiamo lottato fino all’ultimo secondo. Le ultime tre settimane sono state super stressanti, con emozioni positive e negative che si mischiavano, su e giù come sulle montagne russe. Per questo è stato più bello". 

La sua ultima partita in Champions fu la finale persa con l’Inter a Istanbul. Quella delusione può trasformarla in energia per il suo Napoli? 

"L’ho vissuta molto male per un anno, sono sincero. Vedi come sono andate le cose… non ho potuto dire le mie cose (sull’Inter, ndr), ho lasciato parlare la gente perché io non sono uno che ama passare per la stampa e attaccare, preferisco reagire calcisticamente. Ora guardiamo avanti, siamo di nuovo in Champions: divertiamoci". 

Cosa le ha dato fastidio dopo Istanbul? 

"Tu vedi delle cose, ma se la gente non sa la verità è un’altra storia, non si può capire perché ho fatto delle scelte… Nella mia carriera, ogni volta che ho detto la verità è stata vista come una cosa scomoda. E ora voglio evitare polemiche". 

Dia un voto alla sua prima stagione col Napoli?

"Volevo fare meglio, quando sei ambizioso vuoi sempre fare meglio. Potevo fare di più: 14 gol e 10 assist possono essere un bel bottino ma non è il massimo, io cerco sempre di alzare l’asticella, non si può arrivare alla perfezione ma bisogno provare ad avvicinarsi. Ma sono contento, perché la squadra ha vinto". 

A 32 anni e con lo status di top player, si può ancora migliorare? 

"Certo, abbiamo gli strumenti per fare sempre di più. A casa mia ho una palestra. Messi, Ronaldo, Lewandowski, Ibra sono super, ma il mio esempio è Benzema, che dopo i 32 ha vinto il Pallone d’oro. Bisogna guardare avanti con la mentalità giusta. Lo dice anche LeBron James". 

Ha citato Ibra: chiarita quella lite nel derby? 

"Non serve. Ma io ho rispetto per la sua carriera: è stato un giocatore unico". 

Sta aiutando Lucca? 

"Gli ho detto che deve capire i movimenti, come giochiamo. Parlo con lui come con Lang e Kevin. se capisce i movimenti vedrà che ogni volta che arriva la palla avrà tre opzioni: io al primo anno con Conte ci misi 4 mesi...". 

Prima estate senza l’ansia da mercato. È stato scioccante? 

"Direi più “Peace&Love” – ride, ndr -. Mi sono concentrato sulla famiglia, senza aspettare la chiamata dell’agente. Ho visto tanti tornei di mio figlio con le giovanili dell’Anderlecht". 

Raccontò di aver capito di essere povero quando vide sua mamma mischiare l’acqua con il latte. Se pensa a dove è arrivato, cosa la rende più orgoglioso? 

"Sono l’uomo che volevo diventare. Ho dato l’opportunità a tutta la mia famiglia di andare a scuola e all’università. Nei momenti più belli della mia carriera erano sempre lì allo stadio: mia mamma, i miei figli, mio fratello. Guarda, sul mio cellulare c’è mia mamma che alza la coppa scudetto (la mostra, ndr). Vedi, è una rivincita. E anche nella sofferenza, da adulto, lei mi ha sempre dato una spinta: “ricordati da dove veniamo”. Crescendo penso spesso a ciò che ho passato e mi scatta qualcosa, mi dà energia: io non voglio che i miei figli possano rivivere quello che ho vissuto io. Ora stanno bene, parlano già tre lingue a 3 e 7 anni. E io sono contento perché pure nel calcio ho tutto: sono nella squadra giusta, con l’allenatore giusto, nella società giusta. Si vede che anche il Napoli fa dei grandi passi in avanti ogni anno". 

Che papà è Lukaku? 

"Coccolone. Li abbraccio sempre, mi piace il contatto. È molto difficile per me essere severo con loro. Con mia mamma, la mia fidanzata e mio fratello sono più duro". 

È da sempre in prima linea contro il razzismo: ha visto passi avanti da quando ha cominciato a giocare a oggi? 

"Complicato parlarne ogni volta. Bisognerebbe fare, più che parlare". 

La rete col Cagliari ha chiuso il cerchio: un gol alla Lukaku, in progressione, di potenza. E esultanza rabbiosa, liberatoria. 

"C’era pure un po’ di tecnica eh, ho fatto un tunnel – ride ancora -. Era rabbiosa perché mi avevano dato tutti per morto, per tre anni mi hanno messo la croce addosso. Poi, alla fine, vincere in quel modo, col mister a cui pure è stata messa una croce dopo il Tottenham, è stato bellissimo". 

Per quello ha pianto. 

"Sì, mi sono tolto di dosso un peso incredibile. Vincere una volta capita. Farlo due volte significa essere un vincente. Ora si ricomincia, vediamo cosa possiamo aggiungere nella bacheca". 

Parla sei lingue. Col napoletano come va? 

"È difficile, onesto. Tra loro parlano molto veloce. Però se metto il focus giusto, posso provarci. Adoro quando salutano la mattina: “we, guagliù”… A me questa cosa piace tantissimo. Mi fa impazzire, la scrivo a tutti gli amici". Napoli gli è entrata dentro.

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