La scienza spiega perché amiamo la musica: cervello e suoni vibrano insieme

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Uno studio su "Nature" rivela come i neuroni si sincronizzano con ritmo e melodia creando emozioni e movimento

Eugenio Spagnuolo

5 giugno - 12:35 - MILANO

Quando ascoltiamo un brano che ci piace, qualcosa di potente accade nel nostro corpo: il cuore rallenta o accelera seguendo il tempo, i muscoli si contraggono impercettibilmente al ritmo della batteria, persino le onde cerebrali si allineano con la melodia. Non è solo una sensazione: è fisica pura. E forse ora sappiamo perché: il cervello e il corpo non si limitano a comprendere la musica, ma risuonano fisicamente con essa. A sostenerlo è uno studio internazionale che vede tra i coautori Caroline Palmer, psicologa della McGill University, e che propone una teoria che potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo all'esperienza musicale. 

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La ricerca supporta la Neural Resonance Theory (NRT), secondo la quale quando ascoltiamo la musica non ci limitiamo a riprodurre schemi che abbiamo imparato o ad anticipare le note successive. Quello che accade è più sottile e fisico: le oscillazioni naturali del nostro cervello entrano in sintonia con melodia e armonia. Una risonanza che finisce per influenzare il senso del tempo, il piacere che traiamo dalla musica e quell'istinto (irresistibile) che ci porta a muoverci seguendo il ritmo. "La NRT suggerisce che la musica è potente non solo perché la ascoltiamo, ma perché il nostro cervello e il nostro corpo diventano essa", spiega Palmer, docente di Psicologia alla McGill e direttrice del Sequence Production Lab. "Questo ha implicazioni importanti per la terapia, l'educazione e la tecnologia". 

Ritmo nel sangue

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L'idea di fondo è che strutture come il ritmo e l'armonia riflettano precisi schemi del cervello, condivisi tra le persone indipendentemente dal loro background musicale. Secondo la NRT, quando ascoltiamo e componiamo musica tutto il nostro sistema nervoso entra in gioco: dalle orecchie al cervello, dal midollo spinale fino ai muscoli che ci fanno muovere. È un processo che coinvolge il corpo, non solo la mente. In sostanza, quando ascoltiamo una canzone, non stiamo solo processando suoni: entriamo in risonanza con le note a un livello profondo.

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Non solo ballo 

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Le potenziali applicazioni della teoria sono molte e promettenti. Se la scoperta venisse confermata, potrebbe ispirare strumenti terapeutici più efficaci per condizioni come l'ictus, il Parkinson o alcuni stati depressivi. Ma anche un'intelligenza artificiale capace di interagire con la musica, o persino di crearla, con una sensibilità più vicina a quella umana. E, ancora, nuove tecnologie di apprendimento per supportare l'educazione musicale. Chissà poi che, svelando come la musica riesca a diventare noi, non si trovino nuove chiavi per comprendere quel linguaggio universale che, attraverso suoni e armonie, connette da sempre le diverse culture del mondo, facendoci vibrare all'unisono.

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