Gagliardi, match analyst con Prandelli, Mancini, Pirlo e Chivu, sarà al Mondiale come vice allenatore della nazionale di Teheran: "Sono un ex studente di storia, la cultura persiana mi affascina da sempre. Una sorpresa per il 2026? Il Giappone..."
La Norvegia, per Antonio Gagliardi e Antonio Manicone, è al massimo una meta per le vacanze. In questa sosta in cui la Nazionale cerca una via per l’America, ci sono italiani che sono già al Mondiale: qualificati. Carlo Ancelotti con il Brasile, assieme al figlio Davide, a Francesco Mauri, Mino Fulco e Simone Montanaro. Poi Fabio Cannavaro, diventato c.t. dell’Uzbekistan da un mese, con il suo staff all’italiana: Albarella, Chimenti, Troise. Loro sono noti. Il weekend ha aggiunto una bandierina tricolore: Antonio Gagliardi, da molti anni docente a Coverciano, ex tattico di Mancini in Nazionale e di Pirlo alla Juve, è diventato il vice allenatore dell’Iran, nazionale in cui già lavorava Antonio Manicone. Gagliardi è stato per 12 anni nello staff degli azzurri e per un anno con il Mancio in Arabia Saudita, ora torna in Asia dopo sei mesi a Parma con Chivu. Nel gruppetto degli allenatori e dei vice, ha la storia più particolare: non ha giocato a calcio ad alto livello e non viene da una famiglia di sportivi.
Come si fa ad arrivare al Mondiale partendo da zero?
"Io ho cominciato a inizio anni Duemila, quando il match analyst non era interno ai club. Avevo vent’anni e lavoravo per un’azienda, prima Sics, poi Opta, che aveva un contratto con alcuni club e allenatori. Sono stato il match analyst di Prandelli a Parma e Firenze, poi il mister mi ha portato nello staff della Nazionale. Diciamo che facevo smart working…”.
Mai provato a diventare calciatore?
"Ci ho rinunciato presto, non avevo il fisico e nemmeno il livello per arrivare fra i pro. Però ero un 10 e stare in mezzo al campo mi ha aiutato a conoscere il gioco”.
Come si fa, a vent’anni, a farsi rispettare e ascoltare dai campioni della Nazionale?
"L’Europeo 2008 è ancora uno dei ricordi più belli della mia vita, avevo 24 anni ed ero forse il più giovane di sempre in uno staff tecnico. Sergio Buso era il mio maestro, perché Adriano Bacconi ha inventato il lavoro del match analyst in Italia ma Buso è stato il primo vero analista. Io scherzavo con i giocatori, avevo la loro età, me la sono goduta”.
Dovendo scegliere, con chi il rapporto migliore?
"In quel primo periodo sicuramente Daniele De Rossi, forse perché siamo tutti e due del 1983. Dopo con Bonucci, Chiellini e altri. C’è un episodio che io e De Rossi ricordiamo spesso. All’Europeo del 2012, prima dell’esordio contro la Spagna, ci siamo trovati per caso sul campo da basket in ritiro. Lui sapeva che in quella partita avrebbe giocato da centrale della difesa a tre, una sorpresa, così abbiamo parlato di Beckenbauer, Baresi, Blanc, Sammer, Lucio, tutti i giocatori che, giocando come libero, riuscivano ad avanzare e creare superiorità in mezzo al campo. Daniele su quei concetti avrebbe poi fatto la tesi a Coverciano”.
Il ricordo più bello di una vita in Nazionale è l’Europeo?
"Sì, Mancini è stato e continua a essere un enorme riferimento per me. Metto l’Europeo alla pari con i tre-quattro mesi vissuti lo scorso anno come vice di Chivu. A Parma si era creato qualcosa di unico, quando andavi a dormire non vedevi l’ora di tornare in ufficio”.
Tre domande obbligatorie: Chivu, Bonny, Leoni. Che cos’hanno di speciale?
“La qualità principale di Chivu è che è una persona intelligente. Se aggiungiamo la grande carriera alle spalle, siamo già a metà strada. Di lui mi colpisce come sia un allenatore completo. Ci sono allenatori bravissimi in una cosa e con lacune in altre, lui ha gestione del gruppo, tattica, letture a partita in corso. E sa parlare ai giocatori perché è stato uno di loro. Bonny è un talento quasi unico ma va capito perché è un 10 nel corpo di un 9, quindi deve fare la seconda punta. Da esterno, si perderebbe. In pratica, gioca nella big europea che può esaltare di più le sue caratteristiche. Poi fuori dal campo è simpaticissimo, scherza, si veste elegante e qui ci vedo molto gusto francese”.
E Leoni?
“Che sfortuna, Giovanni. Prima dell’infortunio dicevo a tutti che sarebbe potuto diventare il capitano della Nazionale e chissà che non ci riesca anche dopo la rottura del crociato. È un ragazzo di livello superiore per educazione, serietà, dedizione. Deve migliorare in furbizia e malizia ma a me ricorda il primo De Ligt”.
A proposito, come valutare a posteriori quel 2020-21 nello staff di Pirlo alla Juventus?
“A volte passa per una stagione negativa ma, negli ultimi 5-6 anni, nessuno alla Juve ha fatto 78 punti come Andrea. E nessuno ha vinto due coppe. È stata nettamente la Juve migliore nel ciclo post-scudetti, anche se, rivedendo le partite, noto cose che non proporrei più. Sono cambiato anche io: prima ero più attento alle strutture posizionali, ad avere i giocatori in determinate posizioni sul campo, ora credo che debbano essere i giocatori, non le lavagne, a determinare le strutture”.
E questa nuova vita in Iran?
“C’è una cosa a cui non crederà nessuno, ma la dico lo stesso. I miei amici sanno che, nella vita, avevo due desideri: allenare il Giappone e allenare l’Iran. Ho studiato storia all’università, anche se non l’ho mai finita, e la cultura persiana mi affascina. Così, da quando hanno battuto gli Stati Uniti al Mondiale ’98, li seguo. Ali Daei, Mahdavikia, Ali Karimi: hanno avuto e hanno giocatori forti. Quando un mediatore mi ha contattato per la federazione, ho detto subito sì”.
Che vita sarà?
“Vivrò in Iran e tornerò in Italia una volta al mese, forse meno. Il c.t. è Amir Ghalenoei, è un allenatore esperto e molto bravo a gestire la squadra. Io lavorerò di più con il resto dello staff sulla parte tattica ma c’è tempo: in questa sosta di novembre voglio soprattutto guardare e capire”.
Due domande sul Mondiale, evitando quella banale sulla favorita. Chi può essere la sorpresa?
“Il Giappone. In area possono faticare per il fisico ma, da area ad area, sono già al livello dei più forti. Possono arrivare in semifinale”.
E, sperando che ci sia un’Italia al Mondiale, meglio averla nel gruppo o non averla?
“No, onestamente meglio non averla nel gruppo. Più avanti, magari…”.
L’ultima: che cosa farà Antonio Gagliardi tra cinque anni?
“Mi piacerebbe sfruttare questo lavoro per girare il mondo con la mia famiglia. Potrebbe essere da collaboratore o da allenatore in prima, mi sento pronto. Magari in un club in Italia o chissà, una nazionale. Del resto a Teheran, fino a una settimana fa, chi ci pensava?”.



