L'etica del lavoro, la somiglianza con Bird e il nuovo ruolo: come Flagg può trascinare i Mavs

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A Dallas il n.1 del Draft 2025 potrà imparare da campioni come Davis, Thompson e Irving. Nei Mavericks giocherà come ala piccola

Riccardo Pratesi

26 giugno - 12:58 - MILANO

“Se sei il miglior giocatore della tua palestra, allora devi cercarti una nuova palestra”. Cooper Flagg, la scelta numero 1 del Draft 2025, cita le parole della mamma, la signora Kelly, come bussola professionale. Seguendo questa filosofia ha lasciato Nakomis High School nel “suo” Maine per andare al liceo a Montverde Academy in Florida, scuola specializzata in prospetti Nba. Così ha poi scelto di andare a Duke, college tra i più prestigiosi d’America per qualità accademica e valore del programma di pallacanestro, ma anche quello che ha gli occhi di tutti puntati addosso, quello con la pressione maggiore. Così ha poi scelto di lasciare il mondo Ncaa dopo una sola stagione. Il Cameron Indoor Stadium, dopo la campagna da matricola da miglior giocatore della nazione, gli era diventato troppo stretto, troppo comodo. Via, allora. Destinazione Nba. Da scelta n. 1 del Draft. Più di così non si può salire però, adesso. Ora deve diventare il più forte all’American Airlines Arena, casa dei Dallas Mavericks, la sua nuova squadra, quella che l’ha chiamato davanti a tutti al Barclays Center di Brooklyn per bocca del Commissioner Adam Silver, dopo aver vinto la Lotteria, accaparrandosi un prospetto generazionale.

subito competitivo

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 Sono stati fortunati, i Mavs. Grazie a lui possono rimarginare la ferita dell’addio a Luka Doncic. Flagg può cicatrizzarla, ma servirà tempo: la tifoseria texana non perdona sgarri così. Inizia una nuova era a Dallas che anche in Wnba sfoggia la scelta n.1 del Draft: le Wings hanno selezionato la bionda Paige Bueckers. Comunque è stato fortunato pure Flagg. Non capita a ogni prima scelta di un Draft di poter accomodarsi nel quintetto di una squadra con di fianco Anthony Davis e Klay Thompson, più Kyrie Irving di rinforzo dal 2026. Cooper potrà osservare come prendono cura del proprio corpo tre All Star del recente passato, come approcciano la professione. Rubare con gli occhi, carpire i trucchi del mestiere. Non aspettava altro. Ha un’etica del lavoro certosina, ossessiva, quella di chi non si accontenta di essere uno tra tanti, vuole di più, oltre i soldi e la celebrità. Vuole la gloria, i grandi avversari, l’adrenalina delle Finals Nba. Non si accontenta mai. A Dallas lo ameranno alla follia, persino più di Luka. Perché è come loro, sogna in grande come si fa in Texas, non ha paura di immaginare un futuro enorme come i grandi spazi attorno alla Big D. Gli vorranno bene perché lo vedranno tuffarsi, lottare sul parquet come se non ci fosse un’altra partita da giocare, domani. Cooper è come loro: vuole prendersi tutto. Non lasceranno che Nico Harrison o chicchessia lo lasci partire. Non dopo il precedente Doncic. Lo immaginano nuovo Dirk Nowitzki, il lieto fine assieme, da “e vissero felici e contenti” come nelle favole. Con un altro Larry O’Brien Trophy da esibire, naturalmente. E magari più d’uno, stavolta.

NUMERO 32 O 33?

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Giocherà col numero 32 per i Mavs. Si sa già, girano le magliette col suo nome. Eppure per stile somiglia a un grande numero 33 nella storia del gioco, a Larry Bird. Come lui arriva dall’America rurale, decentrata, lontana dai grandi mercati. Come lui è stato eccezionale al college. Ala bianca che gioca da colletto blu, si sporca le mani come chi timbra il cartellino in fabbrica ogni mattina, si alza presto e va a lavorare sempre, senza giornate libere. Flagg alle 2.13 della scorsa notte italiana, quando Silver l’ha chiamato sul palco a New York, ha abbracciato i genitori, il fratello e si è presentato con giacca blu e cravatta. Elegante, sobrio. Come sul parquet. Ha fatto un figurone senza fare “il fenomeno”, come sul parquet. Senza strafare. Niente carnevalate e vestiti sgargianti, niente proclami. Ha detto che non vede l’ora di giocare per Dallas. Ha detto che vuole vincere. Quello conta. 

NUOVO RUOLO

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Certo dovrà cambiare ruolo rispetto a Duke. Perché da Blue Devil è stato fenomeno da Final Four giocando da ala grande. Punti, ma anche tanti rimbalzi, pure le stoppate. Ha giocato da lungo, pur moderno, in attacco minaccia dentro/fuori, playmaker offensivo a tutto tondo. Però difendeva spesso sotto canestro su lunghi veri, per centimetri e chilogrammi. A Dallas giocherà da ala piccola. Perché lì è Anthony Davis il 4. Perché i Mavs hanno già Dereck Lively e Daniel Gafford, destinato al rinnovo triennale, come centri difensivi, da stoppate e schiacciate. E c’è pure PJ Washington da 3-4, da ala duttile, sua prima alternativa. Flagg ha migliorato il tiro dal perimetro a Duke, è cresciuto come trattatore di palla. Migliorerà ancora, con Jason Kidd come capo allenatore, uno dei migliori uomini assist di sempre. Si prenderà parecchie responsabilità da creatore in assenza d Irving che rientrerà dall’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro patito a marzo nella migliore delle ipotesi a gennaio 2026. Irving rinnoverà per tre anni con Dallas, per 119 milioni (di dollari) di buone ragioni. Flagg dunque ha la “tavola apparecchiata”. Può essere competitivo subito, come risultati di squadra. 

20 PUNTI

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I media statunitensi si sono già scatenati. Segnerà almeno 20 punti per partita dalla prima stagione Nba? L’over/under, che lì va tanto di moda, è stuzzicante. Non esageriamo. Segnerà tanto, ma non così tanto, dal pronti-via. Perché non è solista da “faccio tutto io”. Semmai giocatore di squadra. Perché sente dire che senza Irving i Mavs non sono da playoff nella Western Conference, che ha tante squadre ambiziose. Flagg s’è già calato nella parte, statene certi. Dai Mavericks proverà a vestire i panni di Tom Cruise, il Maverick di Top Gun, l’uomo per cui non esiste una Missione Impossibile. E allora 20 punti per volta forse no, ma Dallas ai playoff magari sì. Non schieratevi contro Flagg: di solito vince lui. Fa presto a diventare il miglior giocatore della palestra dove si allena. A qualunque livello.

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