I quattro anni di Inzaghi sulla panchina nerazzurra pagano, rispetto alla poca esperienza degli avversari alla guida dei rispettivi club
L’8 aprile scorso, in un salotto televisivo inglese, un opinionista diede una lettura particolare della vittoria dell’Inter all’Allianz Arena di Monaco nel quarto d’andata: "Tu puoi andare in palestra, fare pesi, riempirti di muscoli, ma se torni a casa e lotti con tuo padre, vince lui perché ne sa più di te. Inzaghi non ha le individualità di Bayern, Barcellona o Psg, ma non c’è squadra che conosca il calcio meglio dell’Inter, quando accelerare e quando frenare, come attaccare e come difendersi, perché il movimento di ogni giocatore è sincronizzato su quello degli altri. In questa Champions, l’Inter è il padre". È così.
l'esperienza paga
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Kompany (Bayern) e Flick (Barcellona) sono arrivati da poco, Luis Enrique (Psg) da due anni. Il quadriennio di Inzaghi ha scavato linee di gioco che sono solchi e fornito automatismi collettivi che pochi vantano. Allo stesso modo, Arteta, all’Arsenal dal 2019, ha spento i violini del Real. Aggiungere la freschezza tecnica di Gnabry a quella di Sané e Olise può non bastare per andare oltre il vecchio Acerbi. I giovani sono ricchi di futuro, i veterani di esperienze. Pavard ha in memoria due finali mondiali.
muro difensivo
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L’Inter ha nelle vene il DNA difensivo degli avi (il Mago, Mou) e quello patrio: non sfugga il risultato complessivo dei quarti (4-3) che contro i tedeschi qualcosa evoca. Inzaghi è pronto a soffrire nella semifinale di Barcellona, come Mourinho nel 2010, senza un Busquets che sbircia da terra. Non significa che i nerazzurri, ricchi di storia e di conoscenze, sculacceranno senz’altro i baby Yamal e Pedri. Ma è così che se la giocheranno. L’Inter è il padre.