Jorginho, la scaramanzia, gli allenamenti anti-famiglia: il Blues burrascoso tra Fabregas e Sarri

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Cesc e Maurizio si reincontreranno in Como-Lazio, ma 7 anni fa erano insieme al Chelsea, regista il primo e allenatore il secondo. E non era tutto rose e fiori...

Giorgio Burreddu

Collaboratore

21 agosto - 12:08 - MILANO

Si erano lasciati a Londra, in una malinconica sera di FA Cup: Fabregas che piangeva, Sarri che ancora fumava. I tifosi del Chelsea che applaudivano. Era il 2019, ma sembra passato un secolo. Cesc era ancora un giocatore che incantava. E quella sera salutò i Blues, Stamford Bridge, la Premier League, per cominciare un’altra avventura. Niente dura per sempre, si sa. Ma tutto torna, sappiamo anche quello. Como-Lazio, prima di Serie A 2025-26, è dunque il ritorno del rimosso. Un conto in sospeso tra il giocatore che dovette fare la valigia e abbandonare Londra per sempre. E l’allenatore che non lo utilizzava più. Oggi Fabregas contro Sarri ha gerarchie nuove, ruoli diversi, vuol dire due allenatori a confronto, ma con idee di gioco simili. Tignosi, puntigliosi, catartici. Abituati a voler tutto. Senza condizioni. A 38 anni Fabregas è l’emblema di una generazione nuova. A 66 Sarri è mitologia made in italy. I due si sono sempre rispettati. Amati, forse un po’ meno. Ma che importa, il calcio pretende duelli. Sarri, disse una volta Cesc, “è un allenatore con le sue idee e non si discosta molto da esse. Non importa cosa gli dici, non importa cosa gli consigli, non importa quale sia la tua opinione, non cambierà mai. È molto superstizioso, è molto testardo in questo senso”.

rapporto incrinato

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Maurizio Sarri arrivò al Chelsea nell’estate 2018. Fu lì che si incontrarono. Fabregas era uno dei veterani della rosa, lo spagnolo era arrivato quattro anni prima e aveva vinto due Premier League. Soprattutto era riuscito a incantare la gente. Tra due c’era feeling, poi subentrò il mistero. Motivi? Tattici. Sarri introdusse il suo sistema di gioco basato sul possesso palla rapido. Sarriball, lo chiamavano. E il ruolo di regista basso era cruciale. Inizialmente Fabregas accolse con entusiasmo le idee del tecnico, tanto da dichiarare: “Tutto il gioco passa da me. È ciò che mi piace. Sento sensazioni con Sarri che pensavo di non provare più. Tocco il pallone cento volte, tutto il gioco passa da me o Jorginho”. Ah sì, Jorginho, in questa storia c’è anche lui. Il neo-acquisto, già allenato da Sarri a Napoli, divenne il perno del centrocampo, facendo concorrenza diretta a Fabregas per una maglia da titolare. Non un dramma. “Avrei voluto che Sarri fosse arrivato qualche anno prima, onestamente, anche se è un po’ tardi ora nella mia carriera. Sono decisamente molto felice con lui”, arrivò a dire Fabregras. Pochi mesi dopo Cesc se ne andò al Monaco, non si sentiva più parte del progetto. Dichiarò: “Ero al Chelsea e avrei potuto rinnovare il contratto per restare. È arrivato un nuovo allenatore e con lui un giocatore che per lui era come un figlio”.

così vicini, così lontani

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Giocatori e allenatori: il calcio è pieno di storie d’amore e di tensione, di spigoli e abbracci infiniti. Ma quella tra Sarri e Fabregas è stata anche una storia di confessioni. Della sua superstizione, Sarri non ne ha mai fatto un mistero. Raccontò che vestiva sempre di nero. E al Pescara ordinava ai giocatori di annerire con lo spray le scarpette sgargianti. "Scaramanzia. Al Sansovino avevo una divisa da riposo tutta nera e vincevo. Ho smesso quando non funzionava più”. Erano i tempi dell’Empoli, quando l’allenatore toscano stava ancora costruendo la sua narratologia. Un tecnico duro, che si era fatto dal niente. “Cosa mi dà fastidio? Le etichette: l'ex impiegato di banca che fuma troppo e ha 33 schemi su palla inattiva. Sono stufo”. Non contava le sigarette. Anzi, se le faceva passare di soppiatto dai tifosi dell’Empoli: non c’erano le barriere. Aveva lavorato in banca, per il Montepaschi, si era occupato di transazioni fra grandi istituti. Aveva lavorato a Londra, in Germania, Svizzera e Lussemburgo. “Poi ho scelto come unico mestiere quello che avrei fatto gratis. Ho giocato, alleno da una vita, non sono qui per caso. Mi chiamano ancora l'ex impiegato. Come fosse una colpa aver fatto altro".

regole ferree

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Fabregas già qualche tempo dopo la sua separazione dal Chelsea (e da Sarri), raccontò che certe cose proprio faceva fatica a tollerarle. “Sarri ci fissava gli allenamenti sempre alle 3 del pomeriggio. Chi aveva famiglia come me, in quel modo non vedeva i figli tutto il giorno”. La mattina i bambini andavano a scuola e quando rientrava, la sera dopo l’allenamento, erano già a letto. “Così un giorno abbiamo chiesto a Sarri di spostare le sedute al mattino. Ma ci disse che dovevamo allenarci alle 15 perché una studiosa di Pisa aveva provato scientificamente che quello è l’orario migliore per il corpo. Mah, sarà… Io so solo che per qualsiasi giocatore è molto importante anche il tempo in famiglia”. E vennero fuori anche le crepe, quelle piccole cose che ti tagliano il cuore e poi è difficile farlo rimarginare. "Sarri voleva puntare su Jorginho, che aveva avuto al Napoli ed era arrivato al Chelsea per 60 milioni. A me non bastava giocare Europa League e Coppa di Lega, io sono sempre stato titolare. Volevo essere sempre protagonista in Premier. Così alla fine sono andato via. Sarri è un buon allenatore e una persona di cuore. Però ha convinzioni molto forti a livello tattico, è superstizioso ed è molto difficile fargli cambiare idea”. Ognuno è fatto a suo modo, Fabregas lo ha sempre detto. Persino quando diede a Sarri del “testardo”. Succede, quando hai voglia di raggiungere certi traguardi. E Sarri è così. Lo diceva già dieci anni fa: “Le tre doti di un buon allenatore sono la personalità, la facilità di parola e la conoscenza, che rende credibile le prime due. Io studio anche 13 ore al giorno". A Como, con i riflessi del lago sul passato, i due si abbracceranno. Fabregas non è uno che porta rancore. E Sarri è troppo in là con gli anni per non passare sopra a certe cose. Qualche mese fa, commentando il nuovo ruolo di Fabregas, Sarri lo aveva definito “di intelligenza unica, di livello superiore a tutti gli altri”. Anche se “le cose non andarono benissimo” tra i due, nessuno, nemmeno Sarri, ha mai pensato di farne una tragedia. Anzi, è stato lo stesso tecnico a profetizzare il futuro del suo vecchio giocatore Cesc: sarebbe diventato allenatore e “nel giro di 2-3 anni sarà in un top club europeo, per intelligenza e background”. Per ora, godiamoci questa partita. Ci tengono tutti e due, questo è sicuro.

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