Gli stringenti requisiti da rispettare per avere accesso al bonus mettono a rischio l'impiego dei 597 milioni di euro disponibili sulla base del Pnrr. Soldi che, se non saranno esauriti, l'Italia dovrà forse restituire alla Ue
Emilio Deleidi
13 ottobre - 14:45 - MILANO
Il 15 ottobre dovrebbe aprirsi la possibilità di accedere agli incentivi statali per l'acquisto di auto elettriche, ma le modalità di fruizione dei fondi sono questa volta molto più restrittive rispetto ad analoghe iniziative del passato. Vale la pena ricordare, infatti, che il bonus è riservato soltanto all'acquisto di vetture elettriche e non, come in passato, in senso più ampio a basse emissioni, come le ibride plug-in o alcuni modelli ibridi. Inoltre, per averne diritto bisogna risiedere in una delle "aree urbane funzionali" definite dall'Istat, ossia in una città o nel suo territorio limitrofo caratterizzato da elevati flussi di pendolarismo (circa 1.900 comuni su un totale di 7.900); bisogna rottamare un veicolo con omologazione fino a Euro 5 di cui si è proprietari da almeno sei mesi (o lo è un familiare); bisogna disporre di un reddito Isee fino a un massimo di 30mila euro per ottenere un bonus da 11mila euro e tra 30 e 40mila euro per godere di quello da 9mila euro. Infine, l'auto elettrica acquistata non deve costare più di 42.700 euro, Iva inclusa ma optional esclusi, e ci si deve registrare personalmente su una piattaforma informatica del ministero dell'Ambiente, così da ottenere un voucher da consegnare al concessionario (che, in passato, svolgeva la pratica). La proprietà del veicolo, inoltre, dovrà essere mantenuta per almeno due anni, pena la restituzione del contributo: una clausola voluta per evitare speculazioni commerciali.
limiti stringenti
—
Come si vede, questa volta i paletti sono tanti: è vero che al bonus sono ammesse anche le microimprese (con fatturato fino a due milioni di euro e un massimo di dieci dipendenti), che possono beneficiarne per l'acquisto di veicoli commerciali elettrici con massa fino a 3,5 tonnellate, ma è vero anche che pure per loro ci sono requisiti che pongono limitazioni. Tutto questo fa sì che esista il rischio concreto che l'importante dotazione di fondi stanziati per l'iniziativa, pari a 597,320 milioni di euro provenienti dal Pnrr, il Piano nazionali di ripresa e resilienza finanziato dall'Unione europea, possa non venire esaurita entro la scadenza prevista, il 30 giugno 2026. E che cosa potrà accadere, in una simile ipotesi? Per primo bisogna ricordare che queste risorse erano state all'inizio dedicate dal Piano all'installazione di colonnine pubbliche per la ricarica delle auto elettriche: i relativi bandi si sono rivelati un flop, ciò ha indotto l'esecutivo a dirottare i fondi sulle vetture. Difficile, quindi, se non impossibile che l'Ue consenta ulteriori trasferimenti del denaro ad altri scopi. Il decreto dell'8 agosto del 2025, che disciplina l'iniziativa, prevede la possibilità d'incrementare la dotazione con risorse provenienti da altre misure del Pnrr, ma non dice nulla sulla possibilità di mancato utilizzo del denaro disponibile: si possono solo formulare delle ipotesi.
via stretta
—
Per la gestione dei fondi residui si deve restare nel ristretto quadro delle direttive e delle linee guida di rendicontazione relative al Pnrr, che prevedono in linea generale strumenti come la riprogrammazione e la riallocazione delle risorse su progetti affini a quello non portato a compimento. Questa possibilità - come si è detto - è già stata però utilizzata per porre rimedio al fallimento dei bandi di assegnazione delle somme stanziate per potenziare la rete di ricarica con colonnine installate su strade urbane ed extraurbane, andati quasi deserti. A questo punto si possono configurare altri scenari, il peggiore dei quali prevede la restituzione dei fondi non utilizzati (o addirittura dell'intera dotazione, comprese le risorse già erogate) all'Unione europea da parte dello Stato italiano, inadempiente rispetto agli scopi e ai tempi imposti dal Pnrr. Un'ipotesi molto negativa anche sul piano dell'immagine internazionale, che potrebbe essere scongiurato, in linea teorica, attraverso una negoziazione con Bruxelles e la Commissione europea al fine di ottenere almeno una proroga della scadenza oltre il 30 giugno 2026, nella speranza di godere di una risposta sia pur tardiva del mercato. In alternativa, il governo potrebbe intervenire in corso d'opera (ma non senza difficoltà legislative) per allentare alcune delle condizioni restrittive imposte per l'ottenimento del bonus e cercare così di favorirne l'utilizzo. Da escludere, invece, è l'accantonamento delle risorse residue per future iniziative, come accaduto in passato, perché non rientrerebbero nel meccanismo degli stanziamenti previsti dal Pnrr sulla base di contributi provenienti dall'Unione europea.