Fibrillazione atriale: lo sport intenso di resistenza aumenta il rischio nei maschi. Lo studio

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Non sempre e non tutti gli sport fanno bene al cuore: il paradosso della fibrillazione atriale negli atleti di endurance

Giacomo Martiradonna

21 agosto - 13:36 - MILANO

A luglio 2025 la rivista Exploration of Cardiology ha pubblicato un nuovo studio, intitolato Endurance sport and atrial fibrillation: a mini-review of a complex relationship, che approfondisce il rapporto tra sport di resistenza e fibrillazione atriale. Al centro del paper scientifico, un paradosso clinico noto ma ancora non del tutto chiarito. Se da un lato la regolare attività fisica riduce la mortalità generale e rappresenta un fattore protettivo primario e secondario per la fibrillazione atriale, dall'altro l'esercizio fisico strenuo di tipo endurance sembrerebbe associato a un aumento del rischio di sviluppare aritmie, in particolare nei soggetti di sesso maschile e di mezza età.

Che cos'è la Fibrillazione atriale

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La fibrillazione atriale è una condizione in cui l'impulso elettrico che regola la contrazione del cuore si frammenta in segnali multipli e caotici all'interno della muscolatura atriale. Il battito perde così la sua regolarità e risulta spesso accelerato. Alla base di questo scompenso elettrochimico, ci sono tre elementi chiave: il substrato anatomico, la modulazione funzionale e i fattori scatenanti. È il cosiddetto "triangolo delle aritmie" di Coumel.

Fibrillazione atriale e sport di resistenza

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Secondo lo studio, l'allenamento di resistenza intenso influisce in modo diretto su tutti e tre gli elementi. Dal punto di vista anatomico, provoca una dilatazione delle cavità atriali, con aumento di fibrosi, infiammazione e alterazioni cellulari. Aumenta inoltre l'attività vagale a riposo, la sensibilità all'acetilcolina e riduce i periodi refrattari delle cellule atriali. Infine, incrementa le extrasistoli atriali, spesso all'origine della fibrillazione atriale.

differenze tra uomini e donne

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Nell'uomo, si osserva più frequentemente un rimodellamento cronico con ipertrofia ventricolare sinistra e disfunzione diastolica. Alterazioni importanti molto meno evidenti e frequenti nelle donne, sia in fase acuta che cronica.

trattamento della Fibrillazione atriale negli atleti

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La gestione della fibrillazione atriale nell'atleta richiede un'attenta valutazione. Innanzitutto, è necessario escludere patologie strutturali, canalopatie, distiroidismi o uso di sostanze. In assenza di studi dedicati, si fa riferimento alle linee guida della Società Europea di Cardiologia, che propongono il paradigma C.A.R.E. (Comorbidities and risk factors treatment; Avoid stroke; Reduce symptoms; Evaluation and reassessment). A questo modello lo studio suggerisce di aggiungere la lettera "D" di "detraining", ovvero l'interruzione temporanea o prolungata dell'attività sportiva. Una strategia che tuttavia non molti atleti scelgono di adottare.

Le opzioni terapeutiche e i limiti

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Il controllo farmacologico della frequenza ventricolare si basa su farmaci come beta-bloccanti, calcio-antagonisti o digitale, che possono risultare poco efficaci, mal tollerati o controindicati. Anche il tentativo di mantenere il ritmo sinusale con farmaci antiaritmici non è esente da rischi: in caso di insorgenza dell'aritmia durante lo sforzo fisico, la presenza di flecainide o propafenone nel sangue può risultare potenzialmente molto pericolosa.

Un'alternativa è l'ablazione transcatetere, una procedura che mira a eliminare i circuiti elettrici anomali all'interno del cuore responsabili dell'aritmia. Anche dopo l’ablazione, però, rimane spesso la necessità di valutare il rischio di eventi tromboembolici, come l'ictus cerebrale, che può verificarsi in presenza di fibrillazione atriale. In questi casi, si utilizza uno score clinico chiamato CHA₂DS₂-VA, che tiene conto di diversi fattori come età, ipertensione e diabete. Negli atleti giovani e sani questo punteggio risulta spesso basso, ma il rischio non è mai del tutto assente. In caso di rischio significativo, può essere prescritta una terapia anticoagulante che tuttavia espone a un maggiore pericolo in caso di traumi, soprattutto negli sport di contatto o ad alto impatto, dove cadute e urti sono frequenti.

Ecco perché i medici stanno valutando l'uso di DOAC (anticoagulanti orali diretti di ultima generazione), dotati di un'emivita relativamente breve e un profilo farmacologico più prevedibile. Ma occorre programmare accuratamente l'assunzione del farmaco in modo che l'effetto anticoagulante sia minimo o nullo durante la sessione di allenamento o in gara. Per questo, in ogni caso, occorreranno ulteriori studi.

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