Emergenza Nazionale: in panchina serve subito una svolta radicale

16 ore fa 3

Non andare di nuovo al Mondiale per la terza volta consecutiva toccherebbe anche la Federcalcio

Sebastiano Vernazza

Giornalista

7 giugno - 00:02 - MILANO

C’è il rischio che il nostro girone di qualificazione al Mondiale sia finito prima di cominciare. Prepariamoci all’ennesimo supplizio dei playoff, ammesso che si acciuffi il secondo posto. La Nazionale vista ieri a Oslo è stata imbarazzante ed è lecito dubitare di tutto, aspettarsi il peggio del peggio. Questi siamo, e siamo scarsi, svuotati. Anzi, vuoti e basta. Travolto dagli eventi, da pesi troppo grandi e da una grandinata di infortuni, Luciano Spalletti ci sembra giunto al capolinea tecnico, in confusione. Di fronte a un disastro di tali proporzioni, la soluzione più logica sarebbe un cambio radicale di guida. Avanti il prossimo, nella speranza che riesca a rimettere insieme i cocci di una Nazionale in frantumi, bastonata all’Europeo nel 2024 e umiliata ieri sotto la pioggia di Oslo, come rare volte è successo. 

ANCHE GRAVINA rischia

—  

Se si risale la piramide, da Spalletti in su, si arriva al vertice, al presidente federale. Per Gabriele Gravina vale lo stesso discorso fatto su Spalletti. Gravina non può vivere all’infinito sulla rendita dell’Europeo vinto nel 2021, con due successi ai rigori tra semifinali e finale, e lo ricordiamo perché le vittorie dal dischetto, legittime, non definiscono con certezza una superiorità, premiano un’abilità, nello specifico la bravura di Donnarumma sui penalty. A questo punto, ricordiamo che Giancarlo Abete, dopo l’eliminazione dal Mondiale in Brasile nel 2014, e Carlo Tavecchio, dopo la sconfitta contro la Svezia nel playoff per la Coppa del Mondo 2018 in Russia, si dimisero. Gravina ha già mancato il Mondiale 2022 e potrebbe centrare un bis disastroso. Per l’accesso diretto al Mondiale 2026, senza passare attraverso la strettoia degli spareggi, la situazione è già compromessa: in caso di arrivo in parità al primo posto, eventualità per la quale sarà obbligatorio battere la Norvegia in Italia, conterà la differenza reti generale. E sotto questo aspetto oggi Norvegia e Italia sono già divise da un abisso: Haaland e compagni sono a più 10, noi a meno 3. Tredici reti di differenza. È vero che l’Italia ha due partite in meno, ma è difficile immaginare che la Nazionale di ieri, in 180 minuti, possa ridurre il divario in modo tale da rendere una partita da dentro o fuori il ritorno di novembre contro i norvegesi. Serve una scossa, ci vuole una strambata. Emergenza Nazionale, non si può restare inerti. 

crisi senza precedenti

—  

Una crisi tecnica senza precedenti, a memoria non ricordiamo un’Italia di livello così basso. La mediocrità come tratto distintivo. Spalletti ha le sue colpe e responsabilità. Non è entrato in sintonia con tanti giocatori, si è irrigidito, si è incartato con le parole, ha perso lucidità. Allenatori come Spalletti sono dimezzati, nel ruolo di ct, perché non possono lavorare sulla quotidianità. Il possesso palla prolungato, e però lento e inutile di buona parte del primo tempo, è stato emblematico della disfatta, una gigantesca manifestazione di impotenza. Ci passavamo il pallone senza creare sbocchi, senza che qualcuno si muovesse per un taglio o attaccasse la profondità come si deve. Al primo errore, un cambio di gioco sbagliato da Bastoni, è venuto giù tutto. La Norvegia ha fatto di noi quello che noi avremmo fatto della Norvegia trenta-quaranta anni fa, ci ha affettato con tocchi veloci e verticali e con dribbling che noi non siamo più capaci di eseguire. Per dire, loro a sinistra avevano Antonio Nusa, talentuosa ala del Lipsia, un 20enne già maestro nell’arte di saltare gli avversari. Noi, sulla corsia mancina, ci affidavamo a Destiny Udogie, un ragazzo con doti atletiche notevoli, ma incapace di uno scarto o di una finta. È un esempio, non crocifiggiamo Udogie, non è lui l’imputato numero uno. 

RIFONDARE TUTTO

—  

Il duello a distanza tra Nusa e Udogie fotografa al meglio quel che siamo diventati, ci parla delle responsabilità dei nostri settori giovanili. Produciamo giocatori omologati. Non curiamo più la tecnica, scimmiottiamo palleggi altrui. Migliaia di istruttori e tecnici dei vivai non hanno capito che prima va allenata la sensibilità del piede e poi la capacità di gioco, e che il secondo aspetto non funziona mai, se manca l’alfabeto, la s di stop, la d di dribbling, la t di tiro. La p di passaggio da sola non basta. Bisogna rifondare tutto. Il celebrato Settore tecnico di Coverciano non è più un’eccellenza. Prima, però, affrontiamo l’emergenza. Non possiamo bucare il terzo Mondiale di fila.

Leggi l’intero articolo