Da Messi a Messia: Leo, il messaggero degli dei

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Il tredicenne che non riusciva a crescere si è trasformato nel Messia del calcio anni 2000. Il paragone con Maradona, la rivalità con CR7, i gol e le vittorie: la storia unica di un fenomeno

Massimo Brizzi

Giornalista

7 giugno - 16:13 - MILANO

Leo Messi è lo sportivo che più di ogni altro, in questo scorcio di terzo Millennio, ha regalato ai calciofili giocate e intuizioni di assoluto pregio artistico. Ce lo rende ancora più caro la sua bella storia, quella di un ragazzino talentuoso nato alla periferia del mondo, che ha sempre vissuto per il futbol ma ha rischiato seriamente di essere scartato sulla via del professionismo a causa di un limite fisico. Di più, come ogni eroe che si rispetti si è trovato a rivaleggiare contro due avversari quasi impossibili da battere, un fantasma e un atleta perfetto. La sua carriera europea coincide perfettamente col secolo nuovo: “la Pulce” arriva in Spagna nel 2000. Ha appena tredici anni ma è già titolare di un curriculum impressionante nelle giovanili del Newell’s Old Boys, i rossoneri della sua Rosario: ha giocato 179 partite, di cui una sola perduta, segnando la cifra mostruosa di 234 reti.

La cura

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Tocco di palla, intuizioni tattiche e senso del gol sono quelli del predestinato, il problema è che il piccoletto di papà Jorge e mamma Celia, operaio in acciaieria lui e donna delle pulizie la moglie, non vuole saperne di crescere: mentre il gioco si fa sempre più fisico e veloce, il talento di Leo sembra condannato a restare prigioniero di un corpo troppo minuto. Il metro e mezzo scarso di statura ha una spiegazione scientifica. La diagnosi ha un nome complesso da pronunciare, ipopituitarismo, ma si traduce con brutale semplicità: il corpo del ragazzo non secerne a sufficienza l’ormone della crescita, e di questo passo il suo sviluppo rischia di arrestarsi prima di avere veramente inizio. Esiste una cura, ma costa 900 dollari al mese, troppi per la famiglia Messi e anche per il club. La provvidenza arriva sotto forma di uno stempiato gentiluomo catalano, Carles Rexach, ex bandiera del Barcellona da oltre 300 presenze e storico vice allenatore sotto Cruijff, Robson e Van Gaal. Il sodalizio blaugrana è pronto a pagare le cure necessarie, in cambio del trasferimento immediato di Leo e famiglia.

L’esplosione

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Nella competitiva cantera del Barça, lo stesso club che aveva portato in Europa Maradona, Leo continua a segnare con impressionante facilità, e pian piano il prodigio della crescita si compie, quanto basta per pareggiare e superare di tre dita la statura del “Pibe de oro”. Gli almanacchi gli attribuiranno la rotonda e probabilmente generosa statura di un metro e 70, una taglia ridotta supportata tuttavia da vigore ed esplosività fuori dal comune, tanto che lo staff catalano si convince a fargli assaggiare ancora minorenne le partite dei grandi con la squadra C e la seconda squadra. Il “Messia” si presenta al gran mondo del calcio sulla metà del decennio: giovanissimo esordiente in Liga e Champions League nell’autunno 2004, è ancora minorenne quando debutta come marcatore in prima squadra segnando all’Albacete. Nessuno fra i testimoni può immaginare che il ragazzo arrivato dall’Argentina gonfierà le reti avversarie ancora 473 volte. Nel giro di un paio di stagioni contribuisce da protagonista alla vittoria in Champions, entra nel giro dell’Albiceleste e si piazza due volte di fila sul podio del Pallone d’oro. Fresco ventenne, con Guardiola in panchina ne vincerà tre consecutivi, premio straordinario al talento più vistoso - 50 reti nella stagione 2011-12, 46 nella successiva - della squadra che sta rivoluzionando ritmi e rituali del calcio.

Paragone impossibile

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Con tre Champions in bacheca Leo è nella storia, ma entrare nella leggenda è un altro paio di maniche. Per riuscirci dovrà superare due prove. La prima: liberarsi dal paragone impossibile con Maradona, un fantasma dal carisma impareggiabile che sembra aver vissuto non una, ma tre vite. A cinquant’anni Diego ha già sperimentato seri problemi con la giustizia e toccato l’apice del suo controverso impegno politico. Ha concluso di recente la sua esperienza sulla panchina della nazionale, il fisco italiano fa sapere che aspetta da lui 39 milioni di euro, e lui si defila nel fiabesco torneo degli Emirati… A Leo, riservato e allergico alle occasioni pubbliche non strettamente necessarie, il “Pibe” sembra il protagonista di un romanzo. Non a caso, l’unico libro che dichiarerà di avere letto in vita sua è proprio la sua biografia. L’ombra di Maradona lo perseguiterà sin quando, sul finire della carriera, non riuscirà ad alzare la Coppa del Mondo.

La sfida con CR7

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L’altra prova che Messi dovrà superare è la sfida perpetua, innescata dal dualismo Barça-Real, che lo contrappone a Cristiano Ronaldo. Se Leo credeva nel suo intimo che non potesse esserci persona più diversa da lui di Maradona, con CR7 si deve ricredere: per tutti gli Anni 10 si ritrova a perennemente contrapposto a un atletico stakanovista degli allenamenti, levigato e glamour, che ha trasformato il proprio corpo in un’opera d’arte. Con lui il calcio entra nell’epoca delle statistiche, delle mappature in tempo reale e dei record individuali. Cristiano sembra uscito da un videogioco, mentre Messi, benché sia due anni più giovane e risulti un appassionato player di Fifa, pare un giocatore fuori dal tempo, uno che si divertirebbe allo stesso modo nell’illuminare le folate di Kempes, di Burruchaga o, come effettivamente gli capita di fare, di Higuain.

Il buio e la consacrazione

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Nella finalissima del 2014 al Maracanà, l’Argentina si inceppa ai supplementari contro la Germania. È il momento del buio: il fantasma di Maradona che solleva la Coppa del Mondo giganteggia più che mai, e il duello con Cristiano sul filo dei successi in Liga, dei titoli di pichichi e dei Palloni d’oro pare inchiodare la sua vita tranquilla a quella di un altro che ama la luce dei riflettori. Serviranno sette anni, un’altra Champions sollevata, un’epidemia mondiale e la quasi bancarotta del club culé perché la storia della “Pulce” dia l’ultimo, maestoso, colpo d’ala: nel ’21, ormai accasato al Paris Saint Germain, interrompe la maledizione che lo affligge con la nazionale vincendo la Coppa America, e finalmente l’anno dopo alza la Coppa del mondo. In un momento solo, il “Messia” ha conquistato per sempre il suo popolo, dissipato le ombre dei fantasmi e messo un punto fermo alla rivalità con un CR7 ormai esiliato in Arabia e ai margini della propria nazionale. Dopo un secondo successo continentale con l’Argentina lo scorso anno, oggi Leo Messi sverna a Miami. Ormai è libero di godersi la vita con la moglie e i figli, di dare sfogo alla sua passione per il padel e i videogiochi. Di rosa vestito, scende in campo nella MLS con la noncuranza di chi non ha più niente da dimostrare e, come i messaggeri degli dèi quando hanno terminato la propria ambasciata presso gli uomini, decide di allontanarsi in un tramonto dorato.

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