Django esisteva davvero, e la sua fu la prima grande beffa della storia della boxe

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guantoni

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Tom Molineaux si liberò dalla schiavitù combattendo, tentò la fortuna in Inghilterra, secondo le cronache riuscì anche a battere il campione locale Cribb ma non gli permisero di vincere

Paolo Marcacci

Collaboratore

17 settembre - 14:58 - MILANO

Se inciampi nelle prime righe della sua storia, non puoi che rivedere Django, quello di Tarantino, che da schiavo in una piantagione arrivò ad affrancarsi, per cercare poi la sua Crimilde da liberare, come un Sigfrido nero. Ti dolgono le nocche, a raccontare una storia senza guanti, germogliata quando la Rivoluzione americana era terminata da poco e quella francese, che ne avrebbe seguito l'esempio, doveva ancora cominciare. Storia tramandata dai racconti che nell'arco di quasi due secoli e mezzo si sono evoluti fino a diventare leggende; senza le immagini che ancora non c'erano, prima della fotografia: soltanto i disegni dei primi rotocalchi, per poterla meglio immaginare. Una storia senza confini, da una sponda all'altra dell'Oceano; un po' come era la boxe dell'epoca, ammesso che la si potesse già chiamare così: senza un limite al numero delle riprese e senza nemmeno una benda sul dorso delle mani. Memorie di sangue che nessun arbitro fermava, finché un uomo non restava a terra, nel dubbio che forse non si sarebbe più rialzato.

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