Il decreto che riforma la cittadinanza, sulla base dello ius sanguinis, è alle battute finali. Ma alla vigilia del primo voto al Senato, la Lega sembra mettersi di traverso. Temendo contraccolpi sui figli degli emigrati all'estero, che vivono lì e che spesso hanno nonni e padri venuti dal nord d'Italia, non nasconde "pesanti riserve" sul provvedimento del governo. E uno dei tre leghisti della commissione Affari costituzionali, che ha approvato il testo al Senato, non partecipa al voto in dissenso dai 'suoi'.
E' il veronese Paolo Tosato, da 30 anni nel Carroccio. Il partito di Matteo Salvini garantisce comunque lealtà e domani voterà il decreto in Aula, che è sollecitato soprattutto dai meloniani. Ma i dubbi restano. E condivisi con il Maie, il movimento degli italiani all'estero, generalmente schierato con la maggioranza e che stavolta è pronto a votare contro.
Altro terreno scivoloso, nel centrodestra, è il decreto sicurezza da sempre sponsorizzato dalla Lega. Osteggiato per mesi dalle opposizioni e con il peso delle riserve del Quirinale sulle norme più controverse, di recente è stato trasformato da disegno di legge a decreto. Ed è ripartito alla Camera, in commissione. Ma per evitare altri stop, o peggio colpi bassi interni, ora il centrodestra punta a un'accelerata e si blinda.
In mattinata convoca una riunione di coalizione e concorda di ritirare i suoi emendamenti - quasi una cinquantina quelli presentati, contro gli oltre 1000 del centrosinistra - mentre propone alle opposizioni di tenere in vita circa 500 cosiddetti segnalati, cioè considerati prioritari. Sul decreto, del resto, pesa pure il parere del Consiglio superiore della magistratura che rimarca il "ricorso accentuato al penale' che introdurrebbe, e il carico di lavoro che imporrebbe ai tribunali.
Indizi, forse, della reciproca sfiducia che cova tra gli alleati di governo. Tra forzisti e meloniani sulla politica internazionale - è una tesi che circola - nel rapporto tra il ministro Tajani e la premier Meloni sulla gestione dei temi più caldi. Ma anche tra Fratelli d'Italia e Lega che sembrano reciprocamente guardinghi sul dl sicurezza, da un lato, e sulla cittadinanza dall'altro. Proprio su quest'ultimo provvedimento, la crepa non è nuova. Si era aperta a fine marzo, portando allo scontro aperto tra leghisti e azzurri.
Intento della norma del governo è mettere un freno al boom di richieste di cittadinanza bollato come "un mercato illegale", secondo i più critici, fiorente soprattutto in Brasile. Il Carroccio è d'accordo, ma si distanzia sulla nascita in Italia come requisito per chiedere la cittadinanza. Per i leghisti, il rischio è che possa aprire la strada allo ius soli, favorendo anche le richieste degli stranieri in Italia. Nei giorni scorsi si è trovata un'intesa, facendo sparire quell'elemento dal testo. I mal di pancia però sono tornati, complice il pressing degli italiani all'estero e il loro battage contro il decreto.
Ora pomo della discordia, nella maggioranza, è lo stop all'acquisizione della cittadinanza italiana per i figli di emigrati all'estero che, in base al decreto, è ammessa solo per chi ha ascendenti "esclusivamente" italiani e per due generazioni. Insomma, niente doppia cittadinanza che invece sarebbe la condizione della quasi totalità dei connazionali oltre confine. Un altro stop alla legge è venuto dal ministero dell'Economia guidato da Giorgetti su un emendamento di FdI: bocciato, perché imponeva il certificato di conoscenza dell'italiano a quanti vogliano mantenere la cittadinanza, se nati e residenti all'estero con genitori o nonni con doppia cittadinanza. Secondo i rilievi della relazione tecnica, c'erano costi aggiuntivi per i controlli richiesti agli uffici consolari, ma anche il rischio di "disparità difficilmente giustificabili" tra italiani fino all'ipotesi estrema di creare apolidi.
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