Il tecnico veneto tra i ricordi nei club e l’azzurro sfiorato: "Grazie a me Robi non ebbe più problemi alla schiena. Nel 2016 la Figc mi aveva contattato per il dopo Conte..."
D'estate, Villasimius può diventare un posto pericoloso: "L’altro giorno ho vissuto in diretta gli incendi, vicino alla mia casa delle vacanze". Gianni De Biasi si gode il mare della Sardegna. Acqua azzurra, fuoco rosso: "È andata bene, nessuno si è fatto male, però...". De Biasi, ex centrocampista, oggi allenatore, aspetta una chiamata: "L’esperienza mi fa sentire forte, posso ancora dare tanto".
Gianni De Biasi da Sarmede, Treviso.
"Vicino a San Martino di Colle Umberto, il paese di Ottavio Bottecchia, il ciclista che vinse il Tour e che morì massacrato di botte, non si è mai capito bene il perché. C’è chi dice che lo menarono perché prese un grappolo d’uva, chi racconta altro. Da bambino questa storia mi colpiva. Sono stato chierichetto nel Veneto degli anni Sessanta, chi andava a messa poteva giocare al campetto dell’oratorio".
Da bimbo era juventino, poi...
"Ho smesso nel giorno in cui ci ho giocato contro per la prima volta, con il Pescara. Quegli juventini (la Juve del primo Trap, fine anni 70, ndr) erano di una antipatia assoluta. In campo si sentivano i padroni del vapore, praticavano uno snobismo da fenomeni. Da lì in poi la mia juventinità è calata. Oggi tifo soltanto per le squadre che alleno".
Anche l’Inter è stata per lei una delusione.
"Stagione 1975-76, sono un centrocampista di belle speranze e mi mettono in camera con Sandro Mazzola, un mito. Mazzola tiene accesa la luce fino a notte inoltrata perché deve scrivere la sua autobiografia (La prima fetta di torta, uscita nel 1977, ndr). 'Gianni, ti dà fastidio la lampada?'. E io: 'Ma no, ci mancherebbe'. Invece sì, mi disturbava parecchio il sonno. L’amarezza vera però è un’altra, è il mancato debutto in Serie A. A Perugia sto per entrare, poi si fa male qualcuno e il mister, Chiappella, cambia la scelta, fa entrare Acanfora. Morale: zero presenze nell’Inter dei grandi, soltanto la Primavera".
De Biasi, un mediano da battaglia.
"In realtà sono nato mezzala. Il Brescia è stata la squadra in cui ho giocato di più e in cui ho avuto Gigi Simoni come allenatore. Mi chiamava il suo 'cavallino', mi sarei buttato nel fuoco per lui. Un maestro. A Brescia arrivai come contropartita nell’affare Beccalossi. Marcare il 'Becca' era impossibile, non gli portavi mai via la palla, per fermarlo dovevi menarlo. Gli mando un grande abbraccio".
De Biasi allenatore.
"Ho fatto la gavetta vera, nella provincia più profonda. Non ho mai avuto un procuratore, ho detto per due volte no alla Gea. Ho scalato la montagna senza usare l’elicottero. Chi arriva in cima con la piccozza si gode un panorama migliore".
Al Brescia ha allenato Robi Baggio.
"Nel 2003-04, la sua ultima stagione. Allenarlo era facilissimo: 'La gente vuole vedere Robi Baggio', gli dicevo, e stop. Aveva le ginocchia a pezzi e questo gli procurava problemi alla schiena. Io usavo la scooter e attorno all’addome mi mettevo una fascia elastica, in neoprene, contro i colpi d’aria. Una specie di cintura del dottor Gibaud. Un giorno gli faccio: 'Robi, prova questa fascia'. Lui la prende, la indossa, ci gioca e non la molla più: risolti i guai al dorso, stabilizzata la postura. Ora che ci penso: 'Robi, quella cosa non me l’hai più restituita! Tranquillo, scherzo'. Baggio è stato un fuoriclasse indescrivibile, mosso da una passione irrefrenabile. Lo vedevo sofferente: 'Robi, se non ce la fai...'. E lui, in dialetto veneto: 'Mister, io zogo (gioco, ndr)'".
Il Torino, un altro bel capitolo.
"Promozione in Serie A al primo colpo, l’esonero, il ritorno e la salvezza. Poi un altro giro e un’altra salvezza. Con il presidente, Urbano Cairo, ci sono state delle incomprensioni, tutte risolte. Mi ha fatto molto piacere che mi abbia invitato al suo compleanno e che dal palco abbia detto: 'Agli inizi del mio percorso al Toro ho fatto una pazzia, ho esonerato De Biasi'. Mi diceva che sarei stato il suo Ferguson e un po’ lo sono stato, anche se... a rate. Cairo riesce a creare valore in ogni impresa".
L’Albania, il capolavoro di De Biasi.
"Qualificati all’Europeo del 2016, con vittoria in Portogallo, contro CR7. E l’amicizia con il presidente Edi Rama, un gobbaccio juventino, ma che importa. Rama ha modernizzato l’Albania, l’ha portata nel futuro. Oggi Tirana è una città giovane e dinamica. Quando Rama mi consegnò la Croce di Scanderbeg, la massima onoreficenza del Paese, minacciò di ritirarmi il passaporto italiano se avessi firmato per qualcun altro... Rama mi ha concesso il passaporto diplomatico albanese, con cui vado dappertutto e che mi ha risolto vari problemi in Paesi difficili. Ogni volta che c’è una fila io tiro dritto".
Nel 2016, prima dell’Europeo, lei era a un passo dall’Italia.
"Mi chiamò Michele Uva, allora direttore generale della Figc. Il ct Conte aveva annunciato che, dopo l’Europeo, sarebbe andato al Chelsea ed io ero in pole per sostituirlo. È vero che il presidente della federcalcio albanese, Armando Duka, mi disse che non potevo mollarli, che se fossi andato in Francia da ct dimissionario, avrei depotenziato l’Albania, ma credo ci sia stato dell’altro, non lo so. Mi resta un grande rimpianto, anzi un’arrabbiatura terribile".
Non l’hanno cercata per sostituire Spalletti?
"No e mi è dispiaciuto. Oggi mi sento trenta volte migliore, ho imparato tanto dalle musate che ho preso. L’esperienza ti regala conoscenze superiori".
Un desiderio extra-calcio?
"Mia figlia Chiara, oculista e oftalmologa all’ospedale Civile di Pordenone, si è sposata a giugno e spero che mi renda nonno. Ho l’età giusta!".