Da "gran ballotta" a "fotta": il dizionario di... Italiano, chiave del fenomeno Bologna

4 ore fa 1

Lo scrittore bolognese Enrico Brizzi racconta su Sportweek i vocaboli, in rigoroso dialetto bolognese, che spiegano il trionfo in Coppa Italia di un allenatore che ha saputo conquistare la città emiliana

Enrico Brizzi

24 maggio 2025 (modifica alle 07:51) - MILANO

Le chiavi della città a Vincenzo Italiano? "Gli diamo tutto", ha dichiarato il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, intervistato a caldo sulle tribune dell’Olimpico di Roma mentre il Bologna alzava al cielo la sospiratissima Coppa Italia, vinta dopo l’ultima di Bulgarelli e Savoldi, nel 1974. Smaltita l’euforia di una notte indimenticabile, il primo cittadino ha annunciato che il tecnico capace d’interrompere una carestia di trofei lunga mezzo secolo riceverà il Nettuno d’oro, il massimo riconoscimento conferito dal comune felsineo: questioni di protocollo a parte, da mercoledì 14 maggio mister Italiano è già nella “hall of fame” cittadina e il patrimonio di gratitudine che ha accumulato appare a oggi impossibile da sperperare. E dire che la stagione era partita in salita per lui, per la squadra e per tutti noi che la sosteniamo. Forse ricorderete: il tormentoso distacco da Thiago Motta è arrivato dopo un’annata che sembrava impareggiabile, con tanto di qualificazione in Champions, e l’entusiasmo ha lasciato in fretta il posto alla vertigine, una sensazione di smarrimento che ci ha tenuto compagnia tutta l’estate scorsa. 

Ruolo scomodo

—  

 Nel momento stesso in cui il BFC rientrava nel salotto buono del football europeo, se ne andavano alla chetichella l’allenatore e alcuni tra i protagonisti più brillanti della cavalcata appena conclusa: Zirkzee e Calafiori ceduti in Premier, Saelemekers non riscattato… Vincenzo Italiano si è trovato nello scomodissimo ruolo di sostituire chi pareva insostituibile. A rendere ancora più complessa la missione, la scia di finali sfortunate con la Fiorentina. Praticamente è arrivato a Bologna inseguito attraverso l’Appennino da un’eco sconsolata: erano le voci degli amici che tifano per la “Viola”, che da una parte gli riconoscevano talento e dedizione, dall’altra gli rimproveravano un integralismo tattico costato caro nei momenti decisivi. 

dubbi e speranze

—  

Il mercato estivo sembrava non decollare, la rosa pareva troppo ristretta e inesperta, qualcuno addirittura osava dubitare della volontà del club di proseguire il ciclo virtuoso. Si è aperta insomma la spaccatura che ogni tifoseria ben conosce: da una parte chi crede ciecamente, perché “il Bologna è una fede”, dall’altra chi è pronto a intravedere in ogni scricchiolio l’annuncio di una catastrofe imminente. Ecco allora una parola di gergo petroniano che il mister ha dovuto giocoforza imparare: “mai goduti”, ovvero eternamente critici e insoddisfatti, il termine con il quale i sostenitori stoici bollano i colleghi profeti di sventura. 

l’aiuto dei senatori

—  

Non era che il primo rigo del glossario locale, che il tecnico si è trovato a studiare con l’aiuto dei senatori dello spogliatoio, a cominciare dal veterano Orsolini, noto in città come una “càrtola”, un bel tipo che ha il dono ulteriore di ispirare simpatia. Perché Bologna sarà anche “la Dotta”, ma nella pancia dei suoi quartieri si parla una lingua fitta di espressioni che nelle aule dell’Università non sono contemplate. Ecco allora che il mister ha dovuto imparare “fotta” - la voglia di dare tutto in campo - e “ballotta”, che i più giovani pronunciano con una “elle” sola ma viene da “balla”, compagnia di colleghi o di amici: si va allo stadio per “stare in ballotta”, ma possiamo dire anche, senza timore di esagerare, che la squadra di quest’anno è “una gran ballotta”, un gruppo forte e unito. D’altronde è prerogativa del “Cobra” Sartori evitare accuratamente di mettere sotto contratto “ismiti” e “sgodevoli”, ovvero giocatori di scarsa intelligenza e antipatici spacca-spogliatoio. In questo senso, per Saputo è stata “una bazza”, un ottimo affare, ingaggiare tre anni fa il dirigente ex Chievo e Atalanta. 

vivere un sogno

—  

Tempo di perfezionare l’accento, e il mister potrà cimentarsi direttamente col dialetto e proclamare fiero “a sån bulgnais anca me”, son bolognese anch’io, e circa gli esiti della stagione, sarebbe bello sentirlo dire in conferenza stampa ciò che pensa ogni tifoso: “piò d’acsé an s pôl brîsa”, sperare in un bottino più ricco di così non si può. Anzi, “am pèr ed sugnèr”, mi sembra proprio di vivere un sogno.

Leggi l’intero articolo