Autunno lento per i consumi. Nel 2025 la spesa delle famiglie italiane dovrebbe aumentare di poco più del +0,5%, con una variazione congiunturale nulla tra primo e secondo semestre e un incremento tendenziale limitato allo 0,1%. Rispetto alla stima diffusa prima dell'estate (+0,7%) mancano all'appello oltre 2,4 miliardi di spesa.
A stimarlo è Cer per Confesercenti in occasione della giunta nazionale riunita oggi a Roma.
Il rallentamento si spiega con la persistenza di fattori che comprimono il reddito disponibile e acuiscono l'incertezza dei consumatori. Pesa la pressione fiscale, in crescita: nel secondo trimestre la quota di imposte indirette sul valore aggiunto è salita al 15,1%, contro il 14,3% dello stesso periodo 2024.
Incide anche la disomogeneità dell'inflazione: le famiglie concentrano la spesa su alimentari e casa, comparti dove i rincari restano al di sopra della media. Il risultato è che gli aumenti retributivi, pur presenti, non si traducono in un reale incremento del potere d'acquisto.
"Di fronte a questo quadro, le imprese del commercio, del turismo e dei servizi esprimono preoccupazione, e chiedono con forza che la legge di bilancio si concentri su misure per il rilancio dei redditi e della spesa delle famiglie, a partire dalla riforma fiscale e dalla detassazione delle tredicesime", commenta il presidente di Confesercenti Nico Gronchi. "Sarebbe un intervento strategico anche per la crescita: con la prospettiva di un probabile rallentamento degli scambi internazionali a causa di conflitti e tensioni, il mercato interno è il fronte su cui puntare per rafforzare il nostro Pil.
Bisogna però accompagnare l'alleggerimento con misure che tutelino le imprese del territorio. Da questo punto di vista, resta prioritario correggere lo squilibrio fiscale tra web e offline. Le grandi piattaforme di eCommerce internazionali godono da anni di vantaggi di natura 'elusiva': sfruttano differenze normative e disomogeneità tra Paesi per scaricare sugli altri contribuenti - in particolare le piccole e medie imprese - il peso di un carico fiscale che dovrebbe invece essere condiviso equamente".
"Un sistema fiscale non garantisce parità di trattamento non è solo ingiusto: è anche un fattore di concorrenza sleale che sottrae risorse allo Stato e quote di mercato alle imprese che operano correttamente sul territorio".
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