Il meccanismo di gestione delle nostre arterie a pagamento, per il quale da tempo si parla di revisione, è nel mirino di Bruxelles, che contesta in particolare i casi della Brescia-Padova e della Modena-Brennero
Emilio Deleidi
13 ottobre - 09:01 - MILANO
Il nodo delle concessioni autostradali italiane si fa sempre più aggrovigliato. Il meccanismo è conosciuto ed è lo stesso che, dal Dopoguerra in poi, ha consentito la realizzazione dell’ossatura della nostra rete, fondamentalmente la stessa dagli anni Sessanta-Settanta ad oggi, fatta salva qualche integrazione e ampliamento del numero di corsie. In estrema sintesi, tutte le autostrade sono di proprietà dello Stato che, però, per la loro realizzazione, gestione e manutenzione le affida a società terze, principalmente private, ma spesso anche partecipate da enti pubblici locali. Il regime utilizzato è quella della concessione: l’ente concedente, ossia il ministero delle Infrastrutture, sottoscrive un contratto con la società di gestione che, a fronte della riscossione dei pedaggi, s’impegna a gestire e mantenere in condizioni ottimali, migliorandone la qualità, il tratto oggetto della concessione per un numero di anni definito nel contratto stesso. Alla fine della concessione, l’autostrada torna teoricamente di proprietà dello Stato, cosa che in realtà non è mai avvenuta perché le concessioni sono sempre state prorogate a fronte di piani finanziari delle società di gestione che prevedessero investimenti per la realizzazione di nuove tratte, prolungamenti, ampliamento con nuove corsie e così via. In pratica, si è trattato di concessioni “a vita”, quasi mai messe in gara per stabilire nuovi affidamenti. E, grazie a una formula matematica complessa ma molto vantaggiosa per le società di gestione, i pedaggi sono rincarati con cadenza fino a poco tempo fa annuale, facendo sì che le autostrade fossero considerate, soprattutto per i privati titolari delle concessioni, delle “galline dalle uova d’oro”.
la crisi dopo il crollo del ponte morandi
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Questo meccanismo, qui descritto sinteticamente ma oggetto di contratti estremamente complessi, ha subito uno scossone traumatico quando la tragedia del ponte Morandi di Genova, crollato il 14 agosto del 2018 causando 43 vittime, ha portato alla luce un sistema gestionale pieno di ombre e troppo favorevole alle società di gestione che, raramente, portavano a compimento le opere previste dai loro piani finanziari. Il dramma ligure ha fatto emergere una situazione di scarsa manutenzione, con viadotti e gallerie bisognosi di interventi urgenti per la messa in sicurezza (cosa che ha comportato l'apertura di innumerevoli cantieri con enormi disagi che, soprattutto in Liguria, si trascinano da anni). Lo scandalo che ne è derivato ha portato alla cessione della maggiore società del settore, Autostrade per l’Italia, da parte del gruppo Benetton, che aveva rilevato l’azienda e la gestione di oltre 3.000 chilometri di rete al tempo della sua privatizzazione da parte dello Stato (nel 1999), a una cordata la cui maggioranza appartiene alla Cassa depositi e prestiti, società per azioni controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze che impiega a scopo di investimento il risparmio postale italiano. In pratica, il maggior gestore della rete autostradale nazionale è tornato in mani pubbliche; le altre società sono invece ancora di privati (soprattutto del gruppo del costruttore Gavio) o miste, con presenza di enti locali.
meccanismo da rivedere
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Già prima della tragedia di Genova, comunque, il sistema delle concessioni e degli incrementi annuali quasi automatici dei pedaggi era stato messo in discussione e oggetto di attenzioni da parte dell’Autorità di regolazione dei trasporti (detta Art), istituita nel 2011 allo scopo di vigilare, insieme ad appositi organismi ministeriali, sul funzionamento dei trasporti e delle infrastrutture. L’Art ha stabilito un nuovo schema di concessione, considerato più equo nei confronti dei consumatori, valido però solo per i nuovi affidamenti e non applicabile ai contratti in corso. Al momento, dunque, è stato applicato sulle tratte A5 Torino-Quincinetto, A4/A5 Ivrea-Santhià, sul sistema delle Tangenziali di Torino, sulla Torino-Pinerolo e sull’A21 Torino-Piacenza. In molti altri casi, le discussioni sono ancora aperte, anche perché le concessioni, per via delle ripetute proroghe, hanno scadenze lontane: 2028 per le Tangenziali di Milano e la Milano-Serravalle, 2030 per la Torino-Milano, 2031 per la Parma-La Spezia, addirittura il 2038 per la rete di Autostrade per l’Italia, il cui prolungamento è frutto anche dell’importante investimento attuato per la realizzazione della Variante di Valico nel tratto Bologna-Firenze dell'Autostrada del sole.
il contenzioso con l'ue
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Le vicende autostradali italiane sono però da tempo nel mirino anche della Commissione europea, che contesta alcuni meccanismi concessori, in particolare in relazione a due tratti autostradali, l’A4 nella sezione Brescia-Padova e l’A22 Modena-Brennero. Il contenzioso con l’Europa, rinfocolato negli ultimi tempi, riguarda anomalie nel bando per l’affidamento della concessione dell’Autobrennero, in particolare sul tema del diritto di prelazione da parte dell’attuale società di gestione, controllata da enti pubblici locali; il ministero delle Infrastrutture ha dovuto sospendere la gara, in attesa di una decisione in materia della Corte di giustizia europea. L’Art ha comunque avviato una consultazione su uno schema di concessione e un sistema tariffario da applicare per la gara relativa all’A22 o per un eventuale rinnovo, qualora la società attuale avviasse, sulla base di un nuovo piano finanziario, opere significative di miglioramento. Nel caso della Brescia-Padova, la cui concessione scadrà il 31 dicembre del 2026, non è ancora stata avviata l’istruttoria per la gara di affidamento. Se le procedure non saranno effettuate secondi i necessari criteri di trasparenza previsti dagli appalti europei, l’Italia rischierà una procedura d’infrazione da parte della Commissione. Queste due situazioni costituiscono comunque una sorta di punta dell’iceberg di una situazione di tensione tra l’Italia e la Commissione europea che, anche di recente, ha ribadito i propri rilievi formali sulla gestione dei rinnovi o delle proroghe delle concessioni autostradali: a parere di Bruxelles, molti prolungamenti o gare con diritto di prelazione per le società uscenti configurano una possibile violazione dei principi fondamentali del diritto comunitario relativi a trasparenza, concorrenza e parità di trattamento.