Fino all’80% del valore di un veicolo è fornito da aziende esterne alla casa automobilistica, ma il loro ruolo è messo in crisi dall’andamento dei mercati e dalla transizione ecologica. La situazione attuale e le tendenze future
Emilio Deleidi
23 agosto - 11:05 - MILANO
Forse è persino banale ricordarlo, ma non bisogna dimenticare mai che, secondo le stime più attendibili, il 70-80% del valore di un’auto è costituito da componenti forniti da produttori esterni alla casa costruttrice: sola la quota restante è prodotta internamente, oltre alla fase di assemblaggio. Naturalmente, la forbice del valore dei componenti acquistati è molto ampia: si va dai pochi centesimi di euro di pezzi di plastica utilizzati per completare gli interni di un veicolo alle migliaia e migliaia di dollari necessari per acquisire le batterie delle auto elettriche (il cui costo è ancora oggi di circa 150 dollari per kWh, che significa che una batteria da 50 kWh ne richiede 7.500, spese di trasporto, installazione e gestione via software escluse). Ma le case automobilistiche si rivolgono a produttori specializzati anche per approvvigionarsi di altri elementi importanti, a partire dai componenti meccanici (come cambi automatici, trasmissioni, differenziali) fino alle innumerevoli centraline elettroniche oggi indispensabili alle auto (diverse decine, ormai) e ai dispositivi di ausilio alla guida (gli onnipresenti Adas). Insomma, è chiaro quanto il mondo della componentistica, pur sconosciuto al grande pubblico, sia essenziale per la sopravvivenza di quello dell’auto (così come dei furgoni, dei camion, delle moto). Soltanto in Italia, per dire, il settore conta oltre 2.100 imprese (concentrate soprattutto in Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna), con circa 170 mila addetti e un fatturato stimato intorno ai 60 miliardi di euro annui.
componentistica auto, tanti problemi
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Dopo anni di espansione e di buona salute, il settore della fornitura automobilistica è però precipitato in una crisi che sta assumendo contorni preoccupanti. I livelli di produzione precedenti la battuta di arresto forzata dovuta alla pandemia non sono più stati raggiunti e non si contano gli annunci di grandi aziende in crisi, anche nella ricca Germania, dove per esempio Bosch e ZF, veri colossi del comparto, hanno annunciato piani di riduzione di decine di migliaia di posti di lavoro e tagli considerevoli dei costi. La dinamica del settore è chiara: la domanda di auto nuove si è ridotta sensibilmente su tutti i mercati e questo comporta una forte contrazione della fornitura dei componenti ai costruttori (detti in gergo Oem, Original Equipment Manufacturer). Nel 2023, la produzione mondiale di veicoli (auto, mezzi commerciali leggeri e pesanti, autobus e pullman; fonte dei dati Oica, International organization of motor vehicle manufacturers) è stata di oltre 93,5 milioni di unità, diventate 92,5 lo scorso anno; e per il 2025, le previsioni degli analisti parlano di una forbice compresa tra 91 e 92 milioni. Ma l’andamento è molto diverso a seconda delle aree geografiche: se negli Stati Uniti il valore tra il 2019 e il 2024 ha subito solo una modesta flessione (da 10,8 a 10,5 milioni di pezzi), in Europa nello stesso arco temporale si è assistito a un crollo verticale, con una produzione passata da 21,2 a 17,2 milioni di unità (e per l’anno in corso la potenziale, leggera ripresa è stata messa in discussione dalla guerra dei dazi scatenata da Donald Trump).
l'aspetto positivo
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Le minori vendite di auto nuove, però, hanno anche un effetto collaterale benefico per l’industria del settore: il parco circolante di veicoli complessivamente sta invecchiando a causa della mancata sostituzione con mezzi nuovi, tanto da aver raggiunto in Italia un’età media di 13 anni (era tra gli 11 e 12 anni prima della pandemia). Questo comporta inevitabilmente maggiori necessità di manutenzione e di pezzi di ricambio. A beneficiarne è il cosiddetto aftermarket, cioè il settore di produzione di componenti necessari non al primo equipaggiamento, ma per la sostituzione: ricambi originali e non, di qualità equivalente all’originale o, talvolta, inferiore, ma con costi più contenuti (per non parlare delle contraffazioni, un fenomeno reale e pericoloso). Solo in Italia, il settore dell’aftermarket genera un valore di oltre 28 miliardi di euro, con un fatturato che per oltre il 46% deriva dall’export, dando lavoro a quasi 400 mila persone. Un mondo importante, insomma, che vive il momento attuale con il fiato sospeso per le troppe incertezze che gravano sul settore: la transizione alla mobilità elettrica (che riduce le esigenze di forniture, essendo i veicoli molto più semplici), la contrazione della produzione delle case automobilistiche e della domanda dei consumatori, le crisi geopolitiche internazionali, l’altalena delle politiche tariffarie americane, che mette in discussione l’export verso uno dei mercati più ricchi, la minaccia incombente delle case cinesi che, per acquisire molti componenti, si rivolgono a fornitori nazionali.
componentistica, le aziende più importanti
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Chi sono i maggiori produttori mondiali di componenti per veicoli? Le classifiche stilate da analisti ed esperti del settore collocano in genere al primo posto nel 2024 la Bosch, con 54,372 miliardi di dollari di fatturato, al secondo la giapponese Denso con 47,9 miliardi, al terzo la canadese Magna International con 42,836, al quarto la tedesca ZF (37,318) e al quinto la cinese Catl, specializzata in batterie per veicoli elettrici (35,249). Tra gli altri nomi noti vale la pena citare, per esempio, Continental, conosciuta per gli pneumatici ma attiva anche in molti altri campi (nona, con 26,475 miliardi di dollari), Valeo (fari, filtri, Adas, sistemi ibridi, con 19,650 miliardi), Mahle (nota per i suoi pistoni, ventiquattresima con 12,64 miliardi). Tutte realtà, secondo i dati disponibili, che risultano in flessione, più o meno pesante, rispetto ai fatturati dell’anno precedente. E le aziende italiane? L’unico nome familiare è Marelli, anche se la sua proprietà non è più nazionale da tempo, essendo l’azienda stata ceduta nel maggio del 2019 dalla FCA alla Ck Holdings, società del fornitore giapponese di componentistica Calsonic Kanesi Corporation (controllata dal fondo americano Kkr); in luglio, poi, a fronte di serie difficoltà economiche è avvenuto il passaggio nelle mani dei creditori, guidati dal fondo con base britannica Strategic Value Partners. In ogni caso, nel 2024 Marelli figurava al 25° posto delle classifiche, con un fatturato di 11,55 miliardi di dollari.
fornitori auto, gli scenari
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Capire le tendenze di questo settore industriale in un momento così turbolento non è facile, ma secondo gli analisti alcune tendenze sono comunque individuabili. Per prima cosa, la curva di crescita dei fatturati non solo si è arrestata, ma si è invertita, per le ragioni che abbiamo detto; alle quali va però aggiunta anche l’agguerrita concorrenza di aziende cinesi come, oltre alla citata Catl, Yangfeng e Desay SV, robuste realtà nei campi degli allestimenti interni, delle strumentazioni e dei dispositivi di sicurezza la prima, in quelli dell’assistenza al guidatore, dei dispositivi hardware e dei software la seconda. Del resto, l’impalpabile regno dell’elettronica ha preso il sopravvento anche nell’automotive, mettendo in crisi le aziende specializzate nella meccanica tradizionale (come trasmissioni, cambi o freni) che vedono contrarsi il loro mercato. Poi, ovviamente, si stanno affermando i produttori di batterie, in prevalenza cinesi, il cui successo dipenderà nei prossimi cinque-dieci anni dal tasso di affermazione dei veicoli elettrici sui mercati mondiali e dall’evoluzione delle tecnologie adottate (l’attesa messianica degli accumulatori allo stato solido, in grado di far fare un salto all’autonomia delle vetture, si protrae), ma il cui business è comunque già cresciuto considerevolmente rispetto al recente passato. Infine, dopo anni di globalizzazione, si sta accentuando la tendenza opposta, ossia la localizzazione: troppi choc internazionali degli ultimi tempi, dalla pandemia alla crisi dei microchip, dal blocco del canale di Suez alla guerra in Ucraina, dal costo dei container marittimi schizzato alle stelle al caos generato dalla politica dei dazi di Trump, hanno insegnato ai costruttori che è meglio farsi produrre quello che serve non troppo lontano da casa.