Civ: il futuro è qui: giovani, moto di serie e idee nuove per salvare il motociclismo

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Nel weekend in cui la Racing Night è saltata per maltempo, il Civ ha mostrato la strada: le moto di serie sono sempre più competitive, i giovani crescono e il pubblico risponde. Ma ha ancora senso puntare tutto sulle costose Superbike?

Riccardo Piergentili

29 luglio - 23:28 - MISANO ADRIATICO

Doveva essere la notte più luminosa dell’anno. E invece è stata la pioggia a prendersi la scena, spegnendo i riflettori della Racing Night. Le gare clou, la Supersport 600 NG e la Superbike/Production Bike, non si sono corse in notturna. Ma il paddock era pieno, la gente c’era. Ha camminato tra i box, chiesto autografi, toccato le moto. E questo, alla fine, è l’unico dato statistico che conta. Perché il motociclismo, oggi, si gioca tutto sulla relazione. Quella tra moto e piloti, certo. Ma anche (e forse soprattutto) quella tra paddock e pubblico. E il Civ, su questo, sta giocando una partita diversa da tutti gli altri. Lo dimostra la folla che, pur senza il "main event", è rimasta. Lo dimostrano le scelte tecniche di alcune squadre, che puntano su soluzioni sostenibili. Lo dimostrano i risultati in pista, dove il concetto di "derivata dalla serie" torna finalmente ad avere senso.

Superbike o Production Bike?

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Prendiamo la Superbike. Fino a qualche anno fa, distinguere una moto ufficiale da una stock era semplice come riconoscere un’anguilla in un piatto di spaghetti: impossibile confonderle. Oggi non è più così. Le Production Bike, con componentistica quasi di serie, sono lì. Corrono insieme alle Superbike e, in alcuni casi, stanno davanti. Basta guardare Lorenzo Baldassarri. Con una Panigale V4 S (un gradino sotto alla versione R) ha chiuso secondo in Gara 1 e sfiorato di nuovo il podio in Gara 2. Dietro solo a un Delbianco in stato di grazia. E qui la domanda è inevitabile: ha senso continuare a correre con moto che, per essere competitive, costano come un trilocale a Milano? Nel Civ, la risposta sembra arrivare proprio dalla pista. Se l’obiettivo è attrarre giovani e contenere i costi (due urgenze di cui si parla da anni) allora forse le Superbike sono diventate un’ostinazione. Le Production Bike, invece, sono una possibilità. Non solo. Sono anche un’idea di motociclismo più coerente con la realtà.

Dalla strada alla pista

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Oggi, una moto di serie da 1000 cc con quasi 220 cavalli è impegnativa da sfruttare in pista, figuriamoci su strada. Allora tanto vale aggiungere centraline, scarichi e sospensioni racing, trasformandola, a un costo non per tutti ma ragionevole in un vero oggetto da corsa. Yamaha, con il progetto Gytr, si è già mossa da tempo in questa direzione, proponendo vari step di elaborazione Plug&Play. Anche Honda Italia si sta muovendo in questa direzione. Gabriele Giannini, 22 anni, ha portato la CBR1000RR-R Fireblade ai vertici della Superbike dopo anni di assenza. Lo ha fatto con talento, certo. Ma anche con un progetto strutturato alle spalle: quello della Scuderia Improve - Firenze Motor, supportata da tecnici che lavorano in Honda, ad Atessa.

Il tempo cambia tutto, anche i protagonisti

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E poi c’è lui, Alessandro Delbianco. Classe 1997, 27 anni. Non un debuttante, ma un pilota in piena maturazione. A Misano ha vinto entrambe le gare, sfruttando al massimo i due Ko di Michele Pirro. E quest’ultimo passaggio merita un approfondimento. Pirro resta un riferimento. Ma lo scorso anno ha vinto un campionato a 37 anni. Complimenti a lui. Applausi sinceri. Ma da un punto di vista sportivo, quel successo era anche il sintomo di qualcosa che mancava: il ricambio. Oggi, finalmente, qualcosa si muove. Delbianco è protagonista. Giannini cresce. In Moto 3 c’è un Marcos Ruda in fuga, ma alle sue spalle Elia Bartolini lavora per recuperare con una moto inedita. E in Pre Moto 3 Lorenzo Pritelli guida la classifica con la testa di un veterano. Tutti giovani. Tutti affamati.

Lo spettacolo funziona, se ha un senso

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E mentre il talento sale, lo spettacolo cambia forma. La Racing Night ne è la dimostrazione. Nonostante la pioggia, il pubblico ha risposto. Non per caso. Ma perché l’evento era pensato, costruito, promosso. Perché c’era un’idea dietro. Perché il paddock era aperto. Perché non c’erano barriere tra la passione e chi la incarna. Lo sport è diventato spettacolo. Questo lo sappiamo. E i campionati devono adattarsi. Il problema è che, spesso, si rincorre il modello sbagliato: più costi, più velocità, più complicazioni. Ma forse servirebbe il contrario. Un campionato più semplice, più comprensibile. Dove le moto si riconoscono. Dove le categorie non sono un rebus. Dove i piloti parlano e non solo guidano. Dove il pubblico, pagando un biglietto popolare, può tornare a casa con un ricordo e una storia da raccontare. Il Civ ha già tutti gli elementi per farlo. Ha moto di buon livello, piloti veloci che sanno essere personaggi, paddock accessibili. Ha idee come la Racing Night, che trasformano un weekend qualunque in un evento. Ha giovani che spingono e categorie minori piene di talento. Non è (ancora) il campionato perfetto, ma potrebbe diventarlo. A patto di continuare su questa strada. A patto di scegliere. Perché il futuro non aspetta. E, forse, è già qui.

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