Il tecnico chiamato a salvare il club campano in Serie C: "Sarò come un chirurgo. Voglio rimettere in piedi una squadra che prima di me faticava a camminare. Ma per lo spettacolo c'è il circo"
Oscar Maresca
7 novembre - 08:53 - MILANO
Eziolino Capuano è tornato. Ha il cappellino blu e i soliti occhiali da sole specchiati. Cammina frettoloso per il campo mentre dirige l’allenamento del suo Giugliano: osserva, incita i giocatori, corregge ogni dettaglio. “Il calcio è entusiasmo. Dopo 38 anni in panchina volevo smettere. Ho vissuto dieci mesi di sofferenza per la traumatica separazione con il Trapani. La famiglia mi ha convinto a ripartire. Oggi sono rinato. Mi sveglio ogni mattina per andare allo stadio e fare felice la città”. Il club campano ha scelto di puntare sul tecnico di Salerno: è il terzo cambio stagionale alla guida del gruppo. Ora i gialloblù sono fermi a 12 punti in zona playout nel girone C di Serie C: “Sarò come un chirurgo. Voglio rimettere in piedi una squadra che prima di me faticava a camminare. Indosserò il camice, ma resto sempre un allenatore del popolo”.
Lo stop con il Monopoli, poi i due successi contro il Benevento in Coppa Italia e il Siracusa. La cura Capuano sembra funzionare.
“Ho trovato un gruppo di uomini, prima che di calciatori. Al Giugliano c’è uno spogliatoio compatto, unito. In carriera mi è capitato spesso di arrivare in squadre che vivevano situazioni difficili. Ai ragazzi ho subito detto che ‘vincere è un desiderio di tutti, sapersi preparare alla vittoria è invece un privilegio di pochi’”.
Da dove riparte il suo Giugliano?
“Dal gioco verticale e aggressivo. Dobbiamo correre, arrivare primi sul pallone, combattere. Il calcio è uno sport semplice: la squadra deve saper proporre e mantenere le posizioni. Per lo spettacolo c’è il cinema o il circo”.
Anche stavolta, nel suo 3-5-2 non ci sarà spazio per la costruzione dal basso.
“Io la chiamo distruzione dal basso. Il club è un’azienda e come ogni società vuole i risultati. È lo stesso anche per i tifosi, il popolo pensa soltanto alla vittoria. Ho raccontato il 3-5-2 nella mia tesi a Coverciano 16 anni fa, quando pochi colleghi in Italia lo utilizzavano”.
In quel periodo ha osservato da vicino Mourinho e la sua Inter del Triplete.
“Eravamo degli scolari, ci fu un’incomprensione con il team manager e lui intervenne per difenderci. Ammiro anche il pragmatismo di Conte e Allegri. Non sono un giochista. L’allenatore è come un pittore”.
Cioè?
“Deve avere idee. Pensiamo a Van Gogh, un genio. Quante repliche dei suoi quadri ci sono in giro? Tantissime. Però non appartengono all’originale, quindi non sono arte. Nel calcio serve fantasia, in Serie A come in Prima Categoria. E per un periodo l’ho smarrita”.
L’addio al Trapani l’ha segnata profondamente.
“Come fanno a dormire e ad accarezzare i loro cari pensando a quello che mi hanno fatto. Accettare di lavorare con quella dirigenza è stato l’errore più grave della mia vita. L’ho pagato a caro prezzo. Con una lettera vergognosa mi hanno accusato di falsità. Ho portato la questione in tribunale e il giudice mi ha dato ragione. I dieci mesi di dolore che ho passato non li auguro a nessuno. Azzardo il paragone, probabilmente avrei preferito stare in un nosocomio”.
Ha però trovato la forza di reagire.
“Grazie all’amore della famiglia e allo straordinario lavoro degli avvocati. Non la potevo dar vinta a un gruppo di persone che fanno calcio da tre giorni. Il Giugliano è l’occasione giusta per ripartire”.
Ha vissuto 38 anni in panchina, tutti tra dilettanti e Serie C. Ha allenato ovunque: da Modena a Messina. L’impresa più bella?
“L’ultimo anno al Taranto, la città è nel mio cuore. Nel 2024, senza i punti di penalizzazione, avremmo conquistato la promozione in B”.
Utilizza la tecnologia nel lavoro?
“Assolutamente no. Pensi che non uso neppure i social”. Eppure i video delle sue frasi cult sono ovunque.
“Mia moglie e mio figlio me lo dicono spesso, non ho queste distrazioni”.
Per Capuano esiste solo il pallone?
“Vivo per il calcio e parlo sempre con il cuore. Nella vita non ho mai bluffato. Ho dei principi e dico quello che penso, a differenza di tanti altri. Per me, i giocatori sono come figli. Vanno baciati quando dormono, mai durante il giorno”.
Qual è il suo obiettivo?
“Lavorare e restare in questo mondo fino a quando avrò la forza”.
In carriera non è mai andato oltre la Serie C. È arrivato il momento?
“Resto concentrato sul presente. Allenare il Giugliano vale più che guidare una squadra in Champions League”.



