L’uomo della storica vittoria di tre anni fa la ritroverà adesso a Udine: "L’Italia è cresciuta. Voglio affrontare di nuovo gli All Blacks"
Lui c’era tre anni fa. Era in campo, in tribuna, a casa e pure davanti allo schermo. Nella sua Firenze, Niccolò Cannone è stato l’uomo ovunque, il più incredulo e commosso di tutti al fischio finale di quello storico 28-27 che gli australiani ancora non dimenticano. E che domani a Udine - primo dei tre test match che attendono gli azzurri: sabato 15 c’è il Sudafrica, sabato 22 il Cile - vorranno subito vendicare.
Niccolò, ripartiamo da lì, dal 12 novembre 2022. Che cosa ricorda?
"Tutto, ricordo tutto. Che stavo malissimo prima della partita, ma di quel male che è quasi bello, perché era la prima volta che giocavo a casa mia, allo stadio Franchi c’erano un trilione di amici e parenti. E in campo pure mio fratello Lorenzo, che nemmeno nei sogni… Sono emozioni che lo sport, soltanto questo sport ti può dare".
Ha ripensato in questa vigilia di Italia-Australia?
"Certo, sono andato sul telefono a rivedermi le foto dell’impresa. In realtà ci penso sempre, d’altronde sullo sfondo del mio smartphone ci sono gli sbandieratori col giglio di Firenze visti quel giorno".
Prima del rugby ha giocato per nove anni a calcio, da portiere. Poi ha fatto la trafila delle giovanili, l’Accademia, il Petrarca e infine, dal 2018, è a Treviso. Dopo il successo di Firenze si è mai detto “ce l’ho fatta”?
"Mai. Sicuramente quel successo è stato una tappa importante della mia carriera, ma punto molto, molto più in alto".
Il ciclo del ct Quesada è giunto a metà, quando mancano circa 700 giorni al Mondiale. La sua Italia ha già preso forma?
"Da subito. È stato sempre molto chiaro con noi, dobbiamo tirar fuori il nostro essere italiani e la nostra passione, essere d’ispirazione per i bambini e non solo. Così siamo riusciti a creare velocemente la nostra identità. Ora stiamo molto bene, non vedevamo l’ora di radunarci e dimostrare di che cosa siamo capaci, a partire dall’Australia. Dovremo essere bravi a limitare il loro dinamismo e le loro individualità".
Nei giorni scorsi ha invitato in ritiro pure il suo amico ct Julio Velasco...
"È stato un incontro molto motivante, avrei potuto ascoltarlo per ore senza distrarmi. C’è stato anche spazio per fare alcune domande e gli ho chiesto come si allenano i pallavolisti, più altre cose che però restano tra noi".
È solito emozionarsi sull’inno nazionale. Quante di quelle lacrime sono figlie della scuola del suo primo allenatore, il “Ciafo” Ghelardi, e quante di un’adolescenza resa difficile anche dalla separazione dei genitori?
"Sicuramente ogni volta è un insieme di emozioni. La separazione è stata un momento molto duro che mi è servito a crescere e ha rafforzato ancora di più il legame con mio fratello, ma se non ci fossero stati i nonni sarebbe stato molto peggio. Poi io amo alla follia i miei genitori e non sono in guerra con nessuno. La fortuna ha voluto che nello stesso periodo incontrassi il “Ciafo”, l’allenatore che tra pianti e testate nel muro mi ha lasciato di più a livello emotivo".
Ha fermato qualcosa attraverso i tatuaggi?
"Sì, con una scritta sul fianco. In tutto ne ho undici, quelli in stile maori li ho fatti in Nuova Zelanda, altri in una capanna sull’isola di Samoa dove sono stati anche i fratelli Tuilagi. Ma soprattutto mi sono tatuato tre citazioni del Ciclone di Leonardo Pieraccioni: The rythm is magic, feel it in your soul e Dos los ramatos! Tappamis!".
È una grande passione di un altro sportivo fiorentino, il pesista Leonardo Fabbri. Vi conoscete?
"Non di persona, ma ci siamo scritti qualche volta per farci i complimenti. Lo considero un motivo d’orgoglio per Firenze e l’Italia, mi piacerebbe molto incontrarlo, magari davanti a una bella fiorentina".
Le grigliate sono un’altra sua grande passione. Assieme alla caccia.
"E per mio fratello la pesca. Quando torniamo a Firenze è tutto uno stare in mezzo alla natura, agli amici e alla famiglia. Siamo fatti così, ogni occasione è buona. Ma non a Treviso, lì sono concentrato al cento per cento sul rugby e poi se vado per boschi finisce che mi perdo…".
Tra voi due, è Lorenzo il predestinato?
"Direi di sì: ha esordito prima di me in Nazionale dopo aver fatto un solo anno di Eccellenza. Più che altro è sempre stato più atletico di me, io all’inizio ero un po’ più muccone".
Il primo a essere designato come uno dei quattro capitani azzurri però è stato lei.
"Sono grato per la fiducia del ct e dei compagni, spero di rivestire presto questo ruolo. Se mi guardo indietro ripenso alla mancata convocazione contro la Namibia agli ultimi Mondiali, quello è stato certamente il momento più duro al quale ho saputo reagire, fino a guidare la squadra nell’ultima tournée in Sudafrica. E la fame è ancora tanta".
L’Italia di recente ha battuto Sudafrica e Australia. Riuscirà prima o poi a battere gli All Blacks?
"Sarebbe un sogno. Io sono un fan sfegatato della Nuova Zelanda di qualche anno fa, quella di Sonny Bill Williams e Brodie Retallick, vorrei affrontarli di nuovo".



