Gli studiosi sono alla ricerca di alternative al test PSA che possano contribuire alla diagnosi precoce, fondamentale per combattere la malattia
Francesco Palma
5 luglio - 17:15 - MILANO
La diagnosi precoce è la chiave principale per la cura del cancro alla prostata, il tumore più diffuso tra gli uomini in Italia con oltre 40.000 casi all’anno. Se intercettato allo stadio iniziale, le possibilità di curare questo tumore aumentano notevolmente, tanto che la percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è intorno al 92%. La difficoltà principale della diagnosi sta nell’assenza di biomarcatori specifici: solitamente si utilizza il test per l’antigene prostatico specifico (test PSA) che però non riguarda solamente il tumore e quindi non totalmente attendibile. Per questo negli anni si sta lavorando a diverse alternative, e uno studio recente pubblicato su Cancer Research ha proposto un test delle urine che può rilevare il cancro alla prostata allo stadio iniziale, aumentando le possibilità di cura. Non è la prima volta che la scienza va in questa direzione, già nel 2024 un precedente studio aveva introdotto la possibilità di rilevare il tumore alla prostata tramite dei test delle urine.
Il test delle urine
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I ricercatori, provenienti da tre diverse Università (Stoccolma, Londra e Pechino) hanno identificato un nuovo insieme di biomarcatori urinari in grado di rilevare con precisione sia la presenza sia la gravità del cancro alla prostata, combinando l’uso dell’intelligenza artificiale ad un’analisi genetica dettagliata. I ricercatori hanno creato alcuni modelli digitali di cancro alla prostata analizzando l’attività dell’mRNA di tutti i geni umani in migliaia di cellule tumorali individuali, e hanno usato l’intelligenza artificiale per identificare delle proteine che potessero fungere da potenziali biomarcatori. Alcuni tra questi sono risultati significativamente presenti nelle urine dei pazienti con carcinoma prostatico: “La scoperta chiave di questo articolo è che il cancro alla prostata può essere identificato efficacemente analizzando i biomarcatori presenti nelle urine” ha spiegato il dottor Martin Smelik, autore principale dello studio.
Cancro alla prostata: sintomi e difficoltà nella diagnosi precoce
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La difficoltà nella diagnosi precoce del cancro alla prostata sta nel suo essere spesso asintomatico nella prime fasi della malattia: circa il 30% dei casi, infatti, viene scoperto quando il tumore si è già diffuso oltre la ghiandola, quando cominciano ad apparire sintomi come difficoltà e dolore nell’urinare, presenza di sangue nelle urine e sensazione di non riuscire a svuotare la vescica. In stato avanzato poi possono presentarsi delle vere e proprie ostruzioni della vescica o dell’uretra, con problemi di coliche e disfunzioni renali. Proprio per questo è importante intervenire il prima possibile: gli screening disponibili al momento sono il test PSA (che però può essere positivo anche in caso di infezione o ingrossamento della prostata, quindi non necessariamente può dimostrare la presenza di un tumore), l’esplorazione rettale, l’ecografia prostatica ad alta risoluzione e in caso di sospetti da parte dei medici si può fare una biopsia prostatica. Per questo la speranza è che gli studi sui test delle urine vadano avanti, in modo da permettere una diagnosi precoce più rapida, affidabile e meno invasiva. I primi risultati sono molto promettenti, adesso si passerà agli studi clinici su larga scala per testare l’efficacia reale dei nuovi biomarcatori.