Milan, Lazio e Fiorentina provano a rilanciarsi scegliendo in panchina l’usato sicuro. A volte non funziona, ma altre sì
Non è vero che a volte ritornano, è più corretto dire che quasi sempre si ritorna dove si è stati bene, anche se si rischia di guastare i ricordi belli. Nella Serie A che sta per cominciare, spiccano tre grandi ritorni di allenatori: Massimiliano Allegri al Milan, Maurizio Sarri alla Lazio, Stefano Pioli alla Fiorentina.
lo specialista
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Allegri è uno specialista del genere. Era già ritornato alla Juve nel 2021 e non gli era andata benissimo. Nella prima volta a Torino, aveva vinto cinque scudetti e quattro Coppe Italia, e aveva raggiunto due finali di Champions, perse tutte due, ma da allora la Signora non si è più avvicinata alla Coppa a cinque stelle. Il bis juventino di Allegri è stato poco fruttuoso - la Coppa Italia del 2024 come unico trofeo - e tormentato: critiche feroci, accuse di non gioco, di calcio datato e superato. La ruota gira e il fallimento della rivoluzione di Thiago Motta ha spinto molti juventini a rivalutare Allegri, ma un Allegri ter non sarebbe stato possibile, irrimediabile lo strappo con la proprietà. Così Allegri e il Milan si sono riscelti, memori del quadriennio 2010-2014, culminato nello scudetto del 2011, quando c’era ancora Silvio Berlusconi, che non lo amava troppo. Allegri è toscano, di Livorno, ha il gusto della battuta sarcastica, pratica la libertà di parola e di pensiero, non ama le interferenze nelle scelte di campo, tutte cose che a Berlusconi non garbavano. Adriano Galliani attutiva gli attriti, stemperava le tensioni, e non caso si mormora che Galliani potrebbe rientrare al Milan, e questo sì che sarebbe un clamoroso ritorno. Oggi Allegri sembra ancora più convinto della sua idea di calcio, il pensiero forte o debole, dipende dai punti di vista, che la fase difensiva sia alla base di ogni successo. È diventato il leader della corrente dei risultatisti, di quanti credono che conti vincere e che tutto il resto sia chiacchiera da giochisti e ‘covercianisti’. Il Milan lo ha accontentato con un mercato interessante, a cessioni importanti (Reijnders, Thiaw) sono seguiti arrivi di peso (Modric e Jashari, Estupinan e Ricci). Peggio della scorsa stagione, chiusa con un ottavo posto, non potrà finire. L’obiettivo minimo è il ritorno in Champions, ma senza coppe europee a intasare le settimane non si può escludere che il Milan risalga in alta quota. A 58 anni, compiuti l’11 agosto, Allegri ha l’esperienza e le conoscenze per rivincere con il Milan. A seguire, tra quanto non è dato sapere, la Nazionale potrebbe essere un approdo naturale, ma non corriamo, priorità all’Allegri bis di Milanello.
dall'azzurro al celeste
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Pareva che l’azzurro Napoli fosse il colore del destino di Maurizio Sarri. L’infanzia a Bagnoli, le stagioni da Comandante del Napoli, sull’onda di un gioco spettacolare. L’anno alla Juve ha rovinato tutto, per i napoletani Sarri è diventato uno dei tanti traditori della causa. C’erano già passati José Altafini e Gonzalo Higuain, per la via crucis del tradimento e del ‘core ’ngrato’. Per quanto Sarri sia andato alla Juve in forma indiretta, dopo una stagione al Chelsea, è impossibile immaginare un suo ritorno a Napoli. Così si è dovuto accontentare di un rientro alla Lazio, l’ultima squadra che aveva allenato prima dello stop nel campionato scorso, un anno di riflessioni e di pensieri. L’importante era rientrare nel giro, la Lazio si è rifatta avanti, viva la Lazio. La ‘reunion’ ha rischiato di naufragare prima di cominciare perché la società non può fare mercato in entrata, causa indice di liquidità. Sbollita l’arrabbiatura con il presidente Lotito, Sarri ha accettato la realtà e si è tenuto stretto la panchina ritrovata. Dall’azzurro Napoli al celeste Lazio, una sfumatura di diversità, ma i toni sono gli stessi. Sarri ama le contrapposizioni salate. A Napoli lottava contro i poteri forti del Nord. A Roma si è laziali contro i romanisti, per distinguersi, per remare in direzione ostinata e contraria. La missione è semplice, riportare la squadra in Europa, dove il Comandante l’aveva lasciata, e se fosse qualcosa di più della Conference, la stagione sarebbe ottima e abbondante. Il fatto che non siano possibili nuovi acquisti, e che ci si debba accontentare di rientri dai prestiti, può essere un vantaggio: nessun nuovo da rodare e inserire, quasi tutti i giocatori conoscono il sarrismo per averlo già vissuto nella precedente puntata.
ricomincio da tre
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La terza volta di Stefano Pioli alla Fiorentina, siamo nei dintorni dell’eterno ritorno. La prima esperienza era stata da giocatore, negli Anni Novanta, tra il 1989 e il 1995. Sei anni di alti e bassi, la finale di Coppa Uefa raggiunta e persa contro la Juve, che prima l’aveva voluto e che poi l’aveva scaricato, e la discesa in Serie B, con immediata risalita. Era la Fiorentina del Batistuta nascente e segnante, di Mario e Vittorio Cecchi Gori. Emozioni forti, passioni, cinema. Tra il 2017 e il 2019 il primo ritorno, da allenatore, una riapparizione segnata dalla tragedia di Davide Astori, il capitano dei viola di Pioli, morto nel sonno in un hotel alla periferia di Udine, alla vigilia di una partita. Certi eventi segnano, non si può più essere come prima. Certi drammi cambiano la vita e la percezione della vita. Pioli, tra l’altro, da giocatore della Fiorentina, aveva vissuto qualcosa di analogo, però a lieto fine. Il 6 novembre del 1994, contro il Bari, era andato in arresto cardiaco dopo uno scontro con Igor Protti. Una botta in testa, il cuore che si ferma, la disperazione dei compagni, il risveglio in ospedale e la prima straniante domanda: “Ma noi siamo in Serie A o in Serie B?”. In Serie A, come la Fiorentina di oggi, prigioniera della Conference League, l’euro-coppa che i viola giocheranno per la quarta volta di fila. Pioli ha la missione di spezzare l’incantesimo, di trascinare la Fiorentina a un livello superiore. L’Europa League, ma se fosse Champions… Perché sì, la Fiorentina ritrova un Pioli diverso, cresciuto, rafforzato nell’autostima dallo scudetto vinto con il Milan nel 2022. E la squadra non è per niente male, una miscela di gioventù e di esperienza. Il Pioli 3 andrà seguito, la Fiorentina si candida al ruolo di sorpresa guastafeste. La corsa al quarto posto non le è preclusa.
i precedenti contraddittori
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Non tutti i ritorni finiscono bene. Anzi, molti ritorni deragliano e scompigliano i ricordi belli. Il Sacchi bis al Milan - nel 1996-97 l’ex ct subentrò a Tabarez - si chiuse con un mesto undicesimo posto e con una batosta storica, il 6-1 contro la Juve a Torino. Non andò meglio a Fabio Capello, nella stagione successiva: decima posizione e Coppa Italia perduta nelle finali contro la Lazio. Nelle precedenti esperienze in rossonero, Sacchi e Capello avevano vinto tutto. Nella seconda volta a Roma, a Luciano Spalletti è andata forse peggio, gli è rimasto in mano il cerino acceso del lungo addio di Francesco Totti al calcio giocato. Un tormento, un’esperienza mistica: l’interessato e milioni di romanisti che non volevano accettare la realtà. Spalletti non praticò alcuna retorica furbetta e si immolò. Altre volte è andata bene o quasi. Tornando a casa, alla Juve, Giovanni Trapattoni non rivinse lo scudetto, ma portò a casa una Coppa Uefa, trofeo di prestigio. Marcello Lippi, al contrario, di scudetti ne centrò due, nel suo ‘sequel’ juventino. Il migliore dei nostri ‘replicanti’ resta però Carlo Ancelotti: due campionati di Spagna e due Champions nella seconda vita al Real Madrid. Più di prima, meglio di prima. Ma sì, ritornare è bello, e vada come vada.
corsi e ricorsi
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Nella Serie A che parte, i ritorni sono quattro. C’è anche Eusebio Di Francesco. La sua prima avventura in Salento, nel 2011, terminò in pochi mesi, con l’esonero a dicembre, e la squadra scivolò lo stesso in Serie B. Di Francesco è reduce da due retrocessioni consecutive, con Frosinone e Venezia. Al Lecce non hanno paura di corsi e ricorsi storici.