Agostinelli: "Alla Lazio sul pullman vidi i miei compagni caricare le armi e sparare a un aereo"

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L'ex mezzala e allenatore si è raccontato al Corriere: " La morte di mio figlio per cocaina e un dolore che si può solo gestire. Ho allenato in Congo, nella savana..."

11 settembre 2025 (modifica alle 13:50) - MILANO

Andrea Agostinelli è stato un gran bel giocatore. Il suo ricordo con la maglia della Lazio, da metà Anni 70 e per quattro stagioni, è ancora vivo tra i tifosi laziali. La mezzala, oggi 68 enne, si è raccontato in un'intervista su corriere.it "La prima immagine che mi viene in mente? Io da piccolo che salivo sugli alberi per prendere i pinoli. Oppure le elementari a Roma. Ricordo la parrocchia Santo Ippolito, giocavo quattro ore al giorno al battimuro. Insegnava a dribblare meglio. Il primo ricordo del calcio invece quando mi sono messo la maglia della Lazio a 14 anni. Qualche mese prima avevo fatto dei provini con Bologna e Torino, con me c'era Bruno Conti. Partimmo in treno, 20 ore di viaggio. Dormimmo insieme. Come andò? Scartati, entrambi". 

il congo e l'ambasciatore

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Agostinelli ha trascorso le vacanze in Sardegna dopo l'ultima stagione in Albania, alla guida del Flamurtari. "Siamo risaliti in A dopo cinque anni. Miglior attacco e miglior difesa, poi però ho deciso di andare via per divergenze di programmazione con la società. Alleno da oltre 30 anni, sono affamato come i primi giorni, quando entro in campo mi trasformo. Non mi vedo la domenica mattina a portare i pasticcini a casa". Ha allenato anche in Congo. "Ci allenavamo a 50 chilometri da Kinshasa, in mezzo alla savana. Vedo i ragazzi che si cambiano in campo. Due li seleziono subito, uno ora è in Nazionale mentre l’altro gioca negli Emirati Arabi. Da quelle parti hanno un talento innato, Ricordo gli allenamenti al Tata Raphael, lo stadio di Rumble in the Jungle, Alì contro Foreman. Le ultime immagini? Un ragazzo che fuori dal Tata Raphael si aggrappa alla maglia e mi dice: "Coach ti amo". E la telefonata all'ambasciatore Luca Attanasio quattro giorni prima che lo uccidessero. Gli chiesi una mano per un servizio. "Non ti preoccupare, un abbraccio", mi rispose. Andavamo spesso nei suoi uffici. Era una persona buonissima, un benefattore. Oggi la moglie e la figlia vivono a cento metri da casa mia, a Roma. E ho conosciuto anche i genitori, so il dolore che hanno provato". 

la tragedia

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Ma l'episodio più triste della sua vita è la stata la morte a 33 anni, nel 2014, del figlio Gianmarco in una camera d'albergo a Montecatini. "Quando vivi una tragedia simile, per metà muori anche tu, non ti risollevi più. È un fatto innaturale, una parte del cuore va in necrosi. Il dolore si può imparare solo a gestirlo. Il tempo non cancella niente". Nella stanza la polizia rilevò anche della cocaina. "Tutto quello che si è letto purtroppo è vero". Quando ha iniziato a farne uso? "Nel 2003, mentre allenavo il Napoli. E pensare che in casa mia non era mai entrato nulla, neanche una sigaretta. Quando io e mia moglie lo scoprimmo, si giustificò: 'Lo fanno tutti'. Lo abbiamo mandato in comunità, attraverso le mie conoscenze si è fatto strada nel calcio. Aveva anche esordito in C2. Più volte comunque mi sono chiesto: 'E se non lo avessi lasciato da solo quella notte?'. Pistoia è dove ho ottenuto i successi più belli, volevamo tornare a vivere lì. All'indomani avrebbe dovuto visitare un'agenzia immobiliare. Purtroppo non ha capito il valore della vita. Ma non c'è un momento della giornata in cui non lo pensi. Come ho reagito al dolore? Non me ne facevo una ragione. 'Perché a me?', mi domandavo. A Pistoia fatico a tornare. Ho tanti amici che mi aspetterebbero a braccia aperte. Ma è ancora dura". 

le risse alla lazio

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Ovviamente non mancano i ricordi della sua Lazio. "Era una gabbia di matti. Mai vissuto un giorno tranquillo, lineare. Durante le partitelle le risse erano continue, ho visto picchiarsi anche allenatore e magazziniere. Poi però la domenica eravamo tutti uniti. Una volta partimmo in pullman per una trasferta. Noto che tre o quattro compagni seduti in fondo iniziano a caricare le armi: 'Ma dove andiamo, in guerra?', mi chiedo. Poi cominciano a sparare in aria. Guardo fuori dal finestrino e noto un piccolo aereo che ci stava sorvolando. Era Gigi Martini, che oltre a essere calciatore era anche un pilota". Agostinelli poi ricorda di stimare tanto "Gasperini, che ha trasformato l'Atalanta da provinciale a grande squadra. Mi incuriosisce Fabregas che sembra sulla via giusta ma lo dicevamo anche di Thiago Motta. La garanzia è Antonio Conte, fra i primi allenatori al mondo. Abbiamo giocato insieme al Lecce". 

La Gazzetta dello Sport

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