L'ex bianconero: "Ha fatto altre scelte. Del Piero era fortissimo ma nessuno come Ronaldo il Fenomeno. Yamal mi emoziona"
Dal nostro inviato Simone Battaggia
12 ottobre - 15:44 - TRENTO
Un bagno di folla. Gente in coda dal primo mattino per un evento in programma alle 14, la sala piena. Striscioni, battimani alla sigla del Festival. E due “assalti” al palco di tantissimi bambini, tutti alla caccia di un autografo o di un selfie, prima che l’incontro finisse. La passione per Zinédine Zidane infiamma il Festival, con l’auditorium Santa Chiara gremito e Walter Veltroni che stimola uno dei più grandi giocatori della storia del calcio. Tanti juventini, tantissimi appassionati di calcio. Tantissimi bambini, ed è la cosa che colpisce di più, per un campione degli Anni Novanta e Duemila.
infanzia
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E proprio dall’età dell’infanzia inizia il racconto di Zidane. Dalle strade di Marsiglia. “Come tutti i bambini, ho iniziato ad amare il calcio in strada, con gli amici. A Marsiglia si giocava sempre con la palla in strada e io ero appassionato. Tifavo per il Marsiglia. Nella stanza avevo i poster di Platini, Amoros. La carezza alla palla? Quel gesto è nato naturalmente, non è qualcosa su cui mi sono allenato particolarmente. Ho lavorato tanto sul gioco di testa, sul mancino, quello sì. E lavorare mi piaceva, sapevo che grazie al lavoro si possono fare tante cose, me lo diceva sempre papà. Senza fatica non si diventa campioni”.
le radici
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Zidane racconta la storia della propria famiglia. “Mamma e papà sono algerini, vennero a lavorare a Marsiglia ma lì non c’era tanto lavoro, e allora papà è andato a Parigi, Saint-Denis, nel 1955”. A poca distanza dalla zona in cui sarebbe sorto lo stadio in cui il figlio avrebbe alzato la Coppa del Mondo. “Erano anni difficili. Papà ora ha 90 anni, è un po’ stanco ma la testa ce l’ha sempre buona e vedo nei suoi occhi l’orgoglio per le difficoltà che ha attraversato. Racconta che aveva sempre freddo, si riscaldava solo quando saliva nella metro. Noi per fortuna abbiamo vissuto una vita diversa”. Valori che Zidane ha trasmesso alla sua famiglia. “Spero che i miei figli siano persone perbene. Che rispettino l’altro, sempre”.

juve
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“Gli anni alla Juventus sono stati bellissimi - racconta Zinédine -. Il calcio in Francia era bello, ma non importante come alla Juve. Lì ho sentito che vincere era sì o sì, era ciò che dovevamo fare sempre. In Francia anche se perdi fuori casa non fa niente, alla Juve non era così. Quando facevo una bella partita, o un gol, tornavamo alle 3 o alle 4 del mattino e l’avvocato Agnelli mi chiamava alle 6 solo per dirmi in francese “Complimenti”, e metteva giù. Era un appassionato di calcio, sapeva cosa diceva. Per me quel periodo è stato difficile, è stata dura anche fisicamente. “Cos’è questa cosa che mi fanno fare? Io sono venuto a giocare a calcio”, mi dicevo. Poi ho capito che era necessario prepararsi così, per tutta la stagione. Del Piero? Era fortissimo, uno dei più forti in Italia. Con la Juve Alex è stato uno dei più forti. Ho avuto la fortuna di fare 4-5 anni con lui e con altri. Montero, Padovano, Boksic, eravamo tanti forti, ma lui aveva qualcosa di particolare. E un giorno dopo una trasferta andata male, all’aeroporto Fonseca e Montero mi difesero da alcuni tifosi che mi volevano aggredire”. Poi il passaggio al Real Madrid: “Eravamo a Monaco per un gala, cenai con Florentino Perez. Mi passò questo biglietto, in cui scrisse se volevo andare a Madrid. Venivo da 5 anni alla Juve e avevo 30 anni, mi sono detto 'O lo faccio adesso, o mai più'. Non è vero però che all’inizio Figo non mi passava la palla. Poi la palla comunque me la prendevo”.

allenatore
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"La partita più importante che ho vissuto è al Mondiale. Quando sei bimbo, il sogno che fai è giocare un Mondiale, e quando lo giochi e lo vinci è qualcosa che si fatica a descrivere. Il gol? Ne facevo di belli, ma non tanti. Ne ricordo uno con la Juve, in semifinale contro l’Ajax in casa. Vincemmo 4-1, feci gol e una grande gara. Se devo pensare al giocatore più forte, era Ronaldo nel Brasile. Quello che faceva in campo era incredibile. Ti diceva: 'Ti faccio due tunnel' e te li faceva. Quando mi ritirai dopo la partita con il Villarreal, fu una scelta. Non mi piacevano più trasferte, alberghi. Andavi in albergo anche quando giocavi in casa. Ho smesso a 34 anni solo per quello. Avrei potuto giocare ancora un paio di anni o tre, ma andare in ritiro mi pesava tanto”. Poi disse: “Non farò mai l’allenatore". E invece, tre Champions vinte. “A 34 anni ho smesso, mi sono occupato della mia famiglia, ho viaggiato tanto. Dopo tre anni che mi sono goduto la vita, e mi sono chiesto: 'E adesso che faccio?'. Un amico faceva l’allenatore, abbiamo parlato per ore, e lì ho pensato 'Mi devo preparare'. Il manager non mi piaceva, ho fatto il corso da allenatore per tre anni, e alla fine mi sono reso conto che mi piaceva. Tanta gente mi ha insegnato delle cose belle, in Francia”. L’allenatore da cui Zidane ha imparato di più? “Marcello Lippi è stato importante. Quando sono arrivato era difficile per me, anche fisicamente. Mi criticarono, era giusto. Ma lui ha sempre creduto in me: 'Tu rimarrai qui e farai carriera qui'”, mi diceva. Pian piano ho preso fiducia, ho lavorato, ero tranquillo. Poi a un certo punto se sei bravo, qualcosa di bello deve uscire”. C’è stato anche Ancelotti, nel suo percorso. “Un vecchio amico, importante per la mia carriera. Bravo come allenatore, perché ascolta il giocatore. Ogni tecnico ha le sue caratteristiche, da ognuno prendi qualcosa. Carlo ascoltava tanto i giocatori. La passione per il calcio credo sia la caratteristica più importante per un allenatore. Trasmettere qualcosa ai giocatori, dare quello che hai dentro tu. Se sei appassionato, qualcosa lo passi, sempre. L’allenatore è molto importante, conta l’80% in una squadra. Se l’allenatore è serio, i giocatori sono seri. Devi trasmettere una buona energia. Io ho cercato di far passare la fiducia totale. Dicevo: 'Siamo bravi, ma non basta. Dobbiamo lavorare di più per essere pronti alla partita'. E negli allenamenti ho sempre messo la palla, anche nel lavoro fisico”. Tanti grandi allenatori sono stati centrocampisti. “Sì, perché nel mezzo del campo vedevo tutto, capivo cosa succedeva. Credo che il centrocampo sia nel cuore del gioco. Izco, Benzema, Kroos, Modric, erano pazzeschi. In allenamento non perdevano mai palla. Un’ora e mezza senza perdere un pallone. Incredibile. Ma penso anche al Milan di Van Basten, Gullit, Ancelotti, Baresi e Maldini. Sono stati appassionanti, è stata una squadra di riferimento per me”.
valori e sogni
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"In campo ero equilibrato, non esageravo, facevo bene o male con misura. Non possiamo fare tutto bene a 15-20 anni, però dobbiamo ragionare per migliorare. Serve equilibrio. Le persone discrete sono quelle che mi piacciono, anche tra i calciatori. A cena andrei volentieri con Kroos, con Modric, ragazzi che in campo fanno parlare il gioco, punto. Un po’ come me. Oggi la mia vita è bella, anche se sono fermo. Faccio altre cose, vedo i miei figli che giocano. Un giorno tornerò a fare l’allenatore, lo so, ma ora c’è questa vita”. Gli juventini in platea lo reclamano come allenatore. “Non è successo, sono state fatte delle altre scelte. La Juve ce l’ho nel cuore, mi ha dato tanto. In futuro non so. La mia sensazione è poter fare qualcosa con la Nazionale, questo è ciò che vorrei fare un giorno”.

il calcio di oggi
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Il calcio di oggi troppo fisico e poco poetico? “Mi manca qualcosa, sì, nel vederlo oggi. Sono appassionato, quando vedo le partite voglio vedere un gioco offensivo, qualcuno che dribbla, che faccia dei lanci di 40 metri. Ogni tanto ci sono delle belle partite, ma certe cose mi mancano un po'". Il numero 10 sta scomparendo? “Manca, oggi, qualcuno che riceve dietro le linee. Non c’è più un giocatore che riceve in mezzo e questo è un po’ strano. Se giocassi, difensivamente farei quello che vuole l’allenatore, ma in attacco no, farei a modo mio. Francescoli quando era a Marsiglia faceva cose pazzesche, e io mi rivedo in lui. Per me è stato importantissimo. Yildiz? Sì, mi piace, è bravo, fa gol. Ma deve crescere ancora, deve prendere un po’ di struttura. Con Igor però la squadra pian piano sta facendo bene. Giocatori che mi piacciono? Al di là della posizione, uno è mi emoziona quando tocca la palla è Yamal, Contro l’Inter l’anno scorso in Champions a San Siro ha fatto di tutto, da solo. E poi penso a Vitinha, a Neves. Non perdono mai la palla. Totti al Real? L’ha detto lui. Cassano invece è venuto. Non giocava, ma avrebbe dovuto giocare. Lo meritava”. E oggi cosa direbbe Zidane a quel bambino che giocava nelle strade di Marsiglia? “Vai dritto per la tua strada. Volevo fare il calciatore, lo dissi ai miei genitori, “Lo farò”. E l’ho fatto”.