Torino-Napoli, la gioca Ventura: "Gara delicata per i granata. Conte, giocare ogni tre giorni consuma"

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Il tecnico è il doppio ex del match: "De Bruyne calciatore visionario, può portare sulla luna. Con Cairo rapporto straordinario, con De Laurentiis solo poche chiacchierate, non c'era mai tempo"

Antonio Giordano

Collaboratore

18 ottobre - 09:35 - MILANO

Lasciandosi andare sui sediolini d’uno stadio che emotivamente gli appartiene, Gian Piero può starsene adagiato su se stesso, ripensando al bel tempo che fu. "Torino mi ha dato tanto, a Napoli non riuscii come avrei voluto. Ma è una partita che non posso perdermi". C’è un’ora e mezza in cui specchiarsi, due 'epoche' diverse, un confronto esclusivamente statistico su quelle due esistenze, comunque le sue, così distanti che però hanno inciso eccome nell’album dei ricordi. Napoli è un semestre scarso, l’emergenza della ricostruzione post-fallimento, un esonero che bruciò: Torino è l’alfa o magari la 'libidine' di un quinquennio indimenticabile. 

Ventura, ma che gara sarà questa Torino-Napoli? 

"Delicata per Baroni, importante per Conte". 

Sulla carta, si diceva una volta... 

"Sulla carta conviene scrivere con le matite, perché le realtà cambiano e dentro una partita a volte entrano dettagli che modificano il pensiero corrente. Certo che il Napoli è più forte ma per me è anche vero che il Torino ha una buona squadra, destinata a concorrere per l’Europa se riuscisse a mettere assieme e subito una serie di risultati". 

Chi le ruberà l’occhio? 

"Ho visto De Bruyne da ragazzo ed era già com’è adesso: lui è il calcio, un visionario, e l’ha dimostrato - per dirne una - contro lo Sporting Lisbona, con quell’assist per Hojlund che a un altro non sarebbe passato neanche per l’anticamera del cervello e che per De Bruyne è stato naturale e fantastico. Con lui si va sulla luna. E con Hojlund al fianco si arriva prima. Sono curioso di capire cosa sia cambiato in McTominay". 

Il Napoli può fare il bis? 

"Un anno fa ero convinto che avrebbe vinto, adesso non so: la squadra è addirittura migliorata, perché hanno fatto un mercato sensazionale, ma giocare ogni tre giorni ti consuma. Conte è garanzia di successo, ha la forza di impadronirsi della testa dei suoi uomini come pochi e resta il pilastro. Dunque, è alla pari con l’Inter. A me piace il Milan con Allegri, al quale però manca una punta centrale: ce l’avesse, direi attenti. E lo dico egualmente, nonostante Leao non gli dia quello che dovrebbe". 

L’ottimismo sul Torino da cosa deriva? 

"Dalla consistenza tecnica della squadra. Ci sono calciatori di spessore, con qualità, con esperienza, ma la variabile è rappresentata da Zapata: se torna quello ch’è stato, allora lui sposta, arricchisce l’organico e gli consegna pure un bel po’ di gol, oltre alla sua personalità. Il Toro paga quell’impatto iniziale che gli ha tolto tranquillità: i cinque gol con l’Inter, i tre subito con l’Atalanta, sono lame nella testa. E alla fine, pensate un po’, anche il pari con la Lazio, un 3-3 altrimenti da accogliere con soddisfazione, per la dinamica e il momento si è trasformato in delusione". 

Il suo Cairo. 

"Rapporto straordinario, sia personale che calcistico. Gli sono grato e so che lo è lui a me, per quello che abbiamo realizzato assieme. Ci capita di sentirci, perché lo vogliamo, gli attribuisco meriti che non sempre gli vengono riconosciuti. Conoscendo le insidie del calcio, le sue parabole distorte, so bene che ci sono scelte che ti sembrano infelici mentre nel momento stesso in cui le fai ti paiono quelle più logiche e opportune. Il Torino di oggi è una buona squadra - Simeone, Asllani, Casadei ma anche Ismajli ed Anjorin - e Baroni, lo dice il suo percorso, è preparato. Però se la partenza diventa un handicap, tutto si complica. Io a Cairo posso solo augurare tutto il bene che merita". 

Il suo De Laurentiis. 

"Qualche raro incontro, qualche chiacchierata, non c’era il tempo, dovemmo recuperare un paio di partite, vivevamo le difficoltà del reinserimento. Lui era proprio ai primi passi, poi ha imparato. Però Napoli parte in vantaggio rispetto alle altre, il pubblico e l’ambiente rappresentano una forza. E lo sviluppo del brand, in tutti i sensi, è un merito". 

La sua Napoli. 

"Brevissima, pochi mesi, con tutto ciò che si sa sugli effetti post-fallimento: a Paestum, dove andammo in ritiro quando il campionato era già cominciato, arrivavano due o tre calciatori al giorno. Resta l’emozione dei sessantamila per il debutto con Cittadella e il rimpianto perché non è durata: umanamente è stata una esperienza fantastica. Non avrei mai lasciato la Serie A per andare in C se la proposta non si fosse chiamata Napoli". 

Il suo Toro è altro. 

"Un passaggio decisivo della mia carriera, che mi ha aperto le porte della Nazionale. Dalla Serie B all’Europa, al successo di Bilbao, a tutto ciò che si sa. Poi sono cambiati i parametri del calcio, almeno per noi, e se il Dortmund offre a Immobile il triplo dell’ingaggio e l’Atletico Madrid dà a Cerci il quadruplo, allora diventa una sfida improponibile. Bisogna ragionare in termini diversi, adesso, l’equilibrio tra sana gestione e progettazione tecnica rappresenta il mantra per alcuni club, incluso il Torino. In quegli anni, riuscimmo benissimo; poi può capitare che il campo non premi certe scelte, che la sfortuna ti colpisca alla bocca dello stomaco".

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